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Notizie storiche intorno all'origine di Prato/Capitolo VII

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Cap. VII

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Del Sacco di Prato del 1512 Capitolo VII - Della Manifestazione della Sacratissima Cintola, e della credenza che il popolo ebbe verso la medesima
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CAPITOLO VII.


Della manifestazione della Sacratissima
Cintola, e della credenza che il popolo
ebbe verso la medesima.


Maravigliose e di alto mistero ripiene sono state sempre mai le operazioni della Divina Onnipotenza, la quale, non già colle medesime regole, che dagli uomini, nel disporre le cose loro, sogliono praticarsi, ma con diverse bensì altissime misure, e da noi non intese, le sue eterne deliberazioni dispone, e l’universo regge e governa.
La qual cosa ben volle Iddio che fosse conosciuta nella manifestazione della Cintola della sua Santissima Madre: perciocché, contro la volontà del Proposto, che dubitando se questa Reliquia tale fosse, quale da Michele gli fu riferito, pensò di tenerla piuttosto nascosta, e non le procu[p. 108 modifica]rare per mezzo del suo zelo, e divozione, onore e decoro; per Divino volere, e con miracolosa maniera fu poi creduto, che la Cintola fosse di Maria Vergine, non solamente dal Proposto e dal popolo pratese, ma dalle vicine e dalle lontane genti altresì, e da personaggi per dignità, per potenza e per santitade ancora ragguardevolissimi; dal che poi un continuo e non mai interrotto culto, e venerazione per molti secoli ne provenne. Delle quali cose tutte nella descrizione di queste notizie distintissima ricordanza si farà, acciocché chiaramente si conosca e per i miracolosi avvenimenti e per la comune sempre durevole credenza, tradizione, e devozione dei popoli, e di soggetti eziandio più illuminati, e per conseguenza men sottoposti ad ingannarsi, essere questa nostra insigne Reliquia veramente la Cintola della Madre di Dio che andandosene al Cielo la diede a S. Tommaso.

Avendo ordinato il Proposto di Prato che la Sacra Cintola fosse riposta nella sagrestia, non potendo, né egli, ne altri [p. 109 modifica]persuadersi che ella fosse Reliquia si cospicua e si grande. Ma volendo Iddio, che per mezzo di essa con distinta maniera fosse onorata l’immacolata sua Madre; egli accadde miracolosamente, che la prima notte, che fu collocata nella sacrestia, fu sentito per quanto si asserisce in questo luogo e per le altre stanze ancora del palazzo della Propositura, ove il Proposto ed i suoi canonici abitavano, un frastuono, ed uno strepito così grande e straordinario che tutti co’ loro serventi e familiari risvegliatisi, ne provarono molta paura e sbigottimento. La qual cosa essendo pure di nuovo accaduta la seconda notte, ed essendosi in ognuno vie maggiormente il timore accresciuto, il Proposto pensò di liberare, ed i canonici e tutti gli altri dalla paura, che per quello insolito rumore avevano concepita: e perchè e’ cominciava nell’interno del suo cuore ad avere qualche seme di venerazione verso la Cintola, credendo, che fosse quello strepito, fosse seguito riguardo a Lei, ordinò, che la Cintola nella solita canestrina di giunchi [p. 110 modifica]dalla sacrestia si levasse, e portata fosse fuori di Prato, ma poco distante dalle mura in una sua deliziosa villetta, ove egli era solito andarvi qualche volta per ricrearvi. Fu in questo luogo portata la santa Reliquia, e la sera medesima vi andò altresì il Proposto, con sette suoi familiari; e dopo che tutti furono andati a dormire, in un subito si appiccò il fuoco a quella villa senza sapere per qual maniera; e risvegliatosi e postosi al sicuro il Proposto coi suoi familiari, egli non volle, che fosse gridato al fuoco ne dato segno veruno, poiché sperava che gli stessi suoi familiari potessero spegnerlo, e temeva altresì, che se il popolo vi fosse concorso, parte delle robe sue potessero essere trafugate e disperse, come spesse volte suole accadere in simili avvenimenti. Ma veggendo che il fuoco sempre più forza e possanza acquistava, e che quasi per ogni parte s’inalzavano le fiamme, ordino prima, che poste fossero in salvo quelle cose, che più si poteva, la maggior parte delle quali, insieme alla sacratissima Cintola, per la [p. 111 modifica]soprabbondanza del fuoco, restò in mezzo alle fiamme. Onde è che considerando, che tutta quella Villa era già per essere consumata dal fuoco, per fare ogni sforzo, volle poi che ogniuno si adoprasse per ispegnerlo; ne potendo ciò ottenere, poi che oramai ogni cosa, divampando ardeva, ed essendo già sul far del giorno, mandò a chiamare alcuni dei suoi Canonici, i quali andandovi, e credendo di trovare ogni cosa arsa, ed incenerita, videro, essendosi già fatto giorno chiaro, che il fuoco da per se, quasi momentaneamente si spense, e affatto mancò, e che la Villa e tutte le altre cose, che da loro ardere per lungo tempo furon vedute, erano come prima, intere e salve, specialmente la Cintola santissima, la quale nello stesso Canestrino appunto ritrovarono, senza che eziandio fosse stata offesa nella più piccola parte. Il Proposto che con tutti coloro che presenti furono a un fatto si miracoloso, trasecolava per la maraviglia, disse con franchezza di spirito, sentendosi mosso internamente, che [p. 112 modifica]quel miracolo si grande accaduto era rispetto a quella preziosa Cintola, che allora credeva costantemente che ella fosse della madre di Dio; perciocché con quell’onore e decoro eglino, non la tenevano come si meritava, che Michele aveva ben ragione, quando con tanta fermezza di animo affermava che quella era la Cintola di Nostra Donna. Tutto ciò che il Proposto aveva detto, e che dimostrò chiaramente di credere della nostra insigne Reliquia, col medesimo sentimento confermate fu da tutti coloro, che furono presenti al miracoloso successo, e poi dagli altri Sacerdoti altresì della Chiesa di Prato; ed allora il Proposto comandò, che la sacratisima Cintola riposta fosse decentemente tra le Reliquie, che nella sua Chiesa si conservano, con questo riservo però, che non se ne dicesse cose alcuna, ne se ne facesse parola al popolo; poiché giudicava egli che il popolo non avrebbe fosse avuta credenza verso la nostra Reliquia, e detto avrebbe piuttosto, che fosse un artifizio de’suoi Preti per utilità ricavarne. [p. 113 modifica]


DESCRIZIONE DELLA CINTOLA.


Ella non è di seta, ma bensì di una certa roba che si assomiglia molto allo stame, ovvero per meglio dire, al pelo di Capra o di Cammello: il colore è verde chiaro, leggermente cangiante in cenerognolo; ed è sparsa di qualche sottilissimo filo d’oro. Ella è larga un dito e mezzo; lunga poi braccia uno e un quarto di misura fiorentina; ed ha nell’una e nell’altra estremità alcune pendenze lunghe un terzo di Braccio in circa, in cima alle quali sono alcune nappe, a foggia di bottoni bislunghi, il tutto della stessa roba e dello stesso colore. Con queste particolari proprietà si distingue la Cintola di Maria Vergine che in Prato si venera; le quali siccome per lo passato da quasi infinite persone è stato fatto, possono anco adesso da chiunque, che lo desiderasse, con santa e divota curiosità non meno vedersi che insieme venerarsi.




A giustificare la credenza che gli antichi pratesi ebbero, verso la Cintola, [p. 114 modifica]che nell’Essere Superiore, io riporto qui il giudizio di due grandi Poeti, cioè un Sonetto del Giusti ed una terzina di Dante.

SONETTO DEL GIUSTI.

Infelice colui che nulla crede
   E da dubbi continui agitato
   Nel ver naturalmente desiato
   Per dritta via non sa fermare il piede!...

Che se un raggio di Lui che tutto vede
   Fu alla mente dell’Uom partecipato,
   Perchè mai non potrò farmi beato
   Nella certezza di secura fede?...

Ahi sciagurato secolo condutto
   Per laberinti, di superbia sporto
   Investigando a dubitar di tutto!...

Di nulla lieto e d’ogni cosa incerto,
   In te della speranza il ben distrutto
   È per errore, tenebre e deserto.



Terzina di Dante nell’ultimo Canto del Paradiso.

Scriveva della Madonna:

«Donna se’ tanto grande e tanto vali
   Che quel vuol grazia, e a te non ricorre,
   Sua desianza vuol volar senz’ali.




A questi giudizi vi è da aggiungere [p. 115 modifica]il fatto che anche i nostri antenati si sono dati un pensiero straordinario nell’impegnare i primari artefici come sarebbero ingegneri, architetti, scultori, pittori ecc. ecc. coll’intendimento di erigere nelle loro città bellissime chiese, spendendo anche somme immense. Ne citerò alcune della piccola Toscana, come il Duomo di Firenze, quello di Siena, quello di Pisa, quello d’Arezzo e di Prato. Sono tutti grandi monumenti uno più bello dell’altro, e la Cattedrale di Prato poi segnatamente, sebbene sia fra le più piccole, non ostante, considerando il modo di sua costruzione, è certamente fra le più belle e ragguardevoli della Toscana, concludendo che se i nostri antenati non avessero avuto credenza non avrebbero certamente fatto quanto fecero; e giacchè siamo a parlare di credenza e conseguentemente della nostra religione, io per questa intendo quella stabilita da Gesù Cristo, cioè i suoi Evangeli con i dieci comandamenti d’Iddio, e più il gran proverbio che dice: non fare ad altri, ciò che non vorresti fosse fatto a te.