Novelle (Sercambi)/Novella VIIII

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Novella VIIII

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VIIII


Giunta la brigata alla Bell’Oste a l’Ancisa e quine fatto fare da cena, mentre che le vivande coceano, lo preposto parlò dicendo a l’autore: «Tu ci hai condutti con bella novella di messer Renaldo, a cui è stato renduto del pane fogaccia. Et hai molto la brigata consolata della dilettevole novella della simplicità di Ginevra, posto che tutte le donne si potrenno stimare simplici». Nientedimeno, a consolazione della giornata seguente, disse a l’autore che pensasse di dire qualche bella cosa acciò che ’l camino che aveano a fare verso Siena paresse, per la novella, piccolo. Al quale l’autore, per ubidire, disse che volentieri, voltandosi alla brigata, dicendo:


DE SIMPLICI JUVENE

Di Felice da Bologna, ricco, e di uno suo fattore, Ugolino
Schierini.


Uno mercadante da Bologna nomato Felice, ricco e gran maestro in mercantia, avendo molti lavori di seta, cioè zendadi e veli, fatti, e non vedendo quelli in Italia poter spacciare, pensò di mandarli oltramonti. Avendo uno suo fattore (più tosto per antifesim che per altro) nomato Ugolino Schiarini, nato di Bologna, assai sofficente d’avere, <lo> mandò con certe balle di mercantia oltramonti comandandoli che tali mercantie spacciasse, al pregio a lui dato, a contanti; e se caso fusse che a contanti spacciar non li potesse, le spacciasse a baratto, salvo che non baratasse le mercantie a cose che putessero. Ugolino udendo disse: «Io ho buono odore, non potrò esser ingannato». Pensando guadagnare un grande [p. 53 modifica]tesoro si misse in camino. E camino tanto che giunse a Bragia con tutte queste robbe.

E come fu giunto, subito li funno intorno molti mezzeti, o vuoi dire sensali, dicendo se alcuna mercantia avesse che volesse vendere. Ugolino, come poco amaestrato, disse di sì, e disse ch’elli avea di comandamento di non venderla se non <a contanti o> a baratto, sì veramente che non baratasse a cosa che putisse. Li sensali, scorto costui, ristrettisi insieme disseno: «Costui è di Bologna, che vendeno il senno tanto che a loro poco ne rimane, e pertanto noi possiamo con costui far buono guadagno, poi che dice le suoi mercantie venderò’ a denari contanti o a baratto, si veramente che baratto non sia cosa putente». E pertanto uno di loro nomato Zazara sensale disse: «Se volete lassar fare a me io farò questo mercato et a voi du’, cioè al Mosca e a Orlanduccio, darò la terza parte del guadagno». Li du’ furon contenti che Zazzara facesse il mercato.

Partitosi Zazzara, scognosciuto se n’andò a Ugolino e disseli s’elli avea moscato da vendere. Ugolino disse no, ma che volentieri lo cognoscerebe, però che a Bologna era molto caro. Zazzara subito andò e arregò alquanto sterco di cane involto in uno zendado e disse: «Ecco il moscato». Ugolino quello al naso acostatosi e disse: «È bene del buono! Volentieri lo comperai o io baratterei colle mie mercantie». Zazzara subito andò a Ugolino e disse: «Di vero questo è del buono».

E partitosi da lui, mutatosi veste, con buona quantità del preditto moscato a Ugolino ritornò, dicendoli: «Tu se’ mercadante? Hai tu mercantia aregato e di quanto valore?» Ugolino rispuose: «Io habbo aregato di molti veli e zendadi la valuta di più di fiorini mv cento». Zazzara dice: «Vuo’li tu vendere?» Ugolino dice: «Sì, o abarattare». Zazzara dice se abarattare vuole a moscato. Ugolino disse: «Io lo vo’ vedere, che altra volta ne viddi e piacquemi molto». Zazzara spiegò una scatola coperta di zendado e piena di sterco di cane, e al naso lei puose dicendo: «Vedi come ne viene odore?» Ugolino dice: «Per certo elli è del buono. Che vuoi della libra?» Rispuose Zazzara: «Tanto voglio della libra quanto tu vuo’ della posta delle zendada: intendo la posta libre [p. 54 modifica]xx, e cosí de’ veli». Ugolino, parendoli buona derrata steo contento, salvo che volea, contanti, fiorini 300. <Zazzara> fu contento del mercato: e pagato li denari e preso la mercantia, et in una scatola suggellata li diede il moscato dicendo che mai quella non aprisse fino che non fusse a Bologna: «Però che perderò’ l’odore e molto meno che non vale si venderò’». Ugolino contento si partìo da Brugia.

E caminando verso Analdo arivò una sera a uno castello di uno conte. Et essendo sera, costui adomandando albergo, fu per la donna del conte ricevuto li. Parendoli forestieri et assai bello e parendoli mercadante, lo invitò ad albergo. Ugolino (che li parea esser a Bologna) acettò. La donna disse unde elli era e che andava facendo e che portava. Ugolino rispuose: «Io sono da Bologna ove si compra il senno e ho fiorini 300 et una scatola di moscato, la quale ho abarattato a mie zendada». La contessa, odendo costui esser straniero et eziandio aver denari e moscato, disiderosa di quelli denari e moscato, et anco piacendoli il giovano, pensò lui potere la notte godere et acquistare li denari e ’l moscato.

E fatto questo pensieri, perché ’l conte non era innel castello, subito fece lui da sé venir’e disseli che vorrè’ che li gostasse che la notte fusse da una così alta contessa innel letto ricevuto. Rispuose Ugolino: «Fiorini 300 e parte del mio moscato». La donna disse: «U’ sono li fiorini?» Ugolino aperse la borsa e in mano lei puose. La contessa quelli avuti, parendoli tempo, lo misse in camera e quine inne’ letto spogliatasi et Ugolino con lei, preseno diletto, saziando la contessa suo apetito (e Ugolino, credendo quine rimanere, come si sforzava di compiacerle!); tanto che essendo dìe, la contessa levatasi e fatto levare Ugolino li disse: «Vanne, che se il conte ti ci trovasse, saresti morto». Ugolino, che anco il sonno avea innelli occhi, montato a cavallo, col suo moscato, senza denari, si misse in via. E caminò verso Parigi per ritornare a Bologna.

Uscitoli il sonno, vedendosi senza denari et andando pensando come potea scendere innel camino, sopragiunse il conte, marito di quella con cui Ugolino avea dormito, e vedendolo malanconoso, disse: «O giovano, che vai pensando?» Lo giovano disse: «Per [p. 55 modifica]mia fé, io hoe giaciuto stanotte con una contessa in uno castello et hoe avuto di lei mio talento et ella di me, e tutti li miei denari li ho dati e non veggo modo che io possa a Bologna ritornare». Lo conte disse: «Tanto quanto dura lo mio terreno ti darò denari e dapoi ne procaccerai altró’». E aperse la borsa e dielli un franco. E partitosi, il conte tornò a casa dicendo: «Un giovano nomato < . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ». La donna> disse al conte: «Poi che voi dite lui avere moscato, piacciavi almeno per fiorini 300 e da lui comprarmene, che sapete quanto tempo me n’avete udito chiedere». Lo conte, desideroso di saziare la volontà della donna, subito prese i fiorini 300 e trovò il giovano chiedendoli il moscato. Ugolino, che denari non avea, disse: «Messer, serà fatto». E preso la quarta parte del moscato e datolo al conte, lo conte portatolo alla contessa disse: «Donna, il moscato che hai desiderato lungo tempo ora hai auto; quanto a me, pare che la mercantia di che hai li fiorini 300 guadagnati olizava come fa questo moscato che hai comperato!» La donna, pensando che ’l conte se ne fusse acorto, a niente rispuose.

Ugolino, tornato con quelli 300 fiorini e col moscato comprato, giunse a Bologna, al suo maestro Felice dandoli li fiorini che avanzati li erano, dicendo che veramente innella parte d’oltramonti si fa grandi guadagni, mostrando il baratto fatto del moscato, afermando che molto s’era guardato di barattare a cosa putente. Felice disse: «U’ è questo moscato?» E come intendente delle mercantie cognove che quello era sterco di cane, afermandoli che lui avea passato il suo comandamento. E così protestandoli volse che Ugolino rifacesse l’amenda de’ veli e delli zendadi. E così fece.

Ex.º viiii.