Novelle (Sercambi)/Novella XVIII

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Novella XVIII

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XVIII


< . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >: «Poi che a Massa siamo giunti a salvamento colla nostra brigata, parendoci paese assai salvatico, ti comando, autore, che guidi la brigata con alcuna novella piacevole fine alla città di Grosseto». Al qual e’ rispuose: «Volentieri». E voltòsi alla brigata dicendo:


DE PERICULO IN AMORE

Di Checca delli Asini figliuola di Asinino, vedua bella.


Fue innella città di Firenze, in una contrada chiamata Santo Spirito, una giovana bella nomata Checca delli Asini, figliuola d’Asinino, vedua, la quale stava in una casa a iiii solaia innella quale tornavano più donne faccendo ciascuna vita per sé: innel primo solaio tornava monna Lionora de’ Pulci; innel secondo solaio tornava monna Pasquina de’ Medici; innel terzo solaio stava la stessa monna Checca, sola; innel quarto tornava monna Onesta de’ Peruzzi vedua, con alcuna fante. Della quale monna Checca uno giovano fiorentino nomato Matteo Rucellai, figliuolo di messer Nicolò, s’inamorò. E tanto fu lo stimolo che Matteo diede a monna Checca che lei aconsentìo. Ritrovandosi alcune volte con lei ad alcuno orto, con grande maestria Mateo caricò la Checca bene con gran paura dell’uno e dell’altro, perché molte donne con Checca andavano; ma pur colto il tempo con Matteo spessisime volte si prese piacere.

E dimorando per tale modo, parendo a Checca troppo indugiare [p. 97 modifica]a dover stare fine che all’orti andavano (però che alcuna volta pioveva e di fuori lo giorno di festa non si poteva andare), deliberò Checca con Matteo che quando di fuora andare non si potesse, che almeno ordinasse in qualche ordine di monache, piovendo, che ella colle sue compagne a spasso andar potessero. Mateo che una sua sorella avea in uno monistero di Santa Chiara, disse che quello farè’ volentieri.

E dato l’ordine colla sorella che quando piovesse potessero andare, dicendo alla sorella l’amore che portava a Checca delli Asini e tutto il suo pensieri, le disse che volea che quando Checca colle brigate venissero al monistero, che lo metta dentro nascondendolo dove si ripuone il fieno e quine ella conduca la Checca e con lei stia: «Tanto che Checca m’abia servito». La sorella, udendo tali parole dire al fratello, rispuose che tutto farè’, ma ben vorrè’ che Dio le facesse grazia che ella si trovasse < . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . > Checca delli Asini.

Lo fratello auta l’ambasciata e fatto sentire a Checca che quando fusse maltempo invitasse la brigata al monistero di Santa Chiara, Checca contenta che almeno non perderà tempo per piova, avenne che la domenica essendo maltempo, Checca invitato le compagne al monistero là u’ doppo il desnare andarono, la badessa quelle misse dentro. E menatole in chiesa e poi per tutto il dormentorio et alla cucina, le donne ch’erano con Checca si prendeano piacere che la badessa mostrava loro i’ luogo; però Checca, che non avea pensieri al monestero, ma pensando dove potesse puonere il sedere per potere Mateo in sul corpo sostenere, stava pensosa. Matteo — che la sorella l’avea messo dentro innel monistero e messolo innel luogo dove si riponea il fieno, dicendoli: «Io condurrò quella Checca dove tu potrai ripuonere il tuo ronzino» — , Matteo, che ode il motto della sorella, sorridendo disse: «Và alla badessa e dille che faccia alla brigata onore».

La monaca sorella di Matteo si partì e giunta in cucina, dove trovò la badessa colla brigata, e chiamò da parte la badessa, dicendo: «Poi che qui queste gentili donne sono venute è bene che s’ordini ch’elle abiano de’ maccheroni. E pertanto voi ve n’andate giù con costoro et io darò ordine [p. 98 modifica] . . . . . . . . . . »  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vedendo, pensava dover perdere la piumata, malanconosa stando e niente rispondea. <La sorella> monaca di Matteo disse: «Checca, io ti voglio dimostrare bella cosa che pure immaginandola mi fa un piacere sentire». Checca per ispasso più tosto che per altro pensier si mosse. La monaca la menò dov’era il fieno, e quine trovato Matteo, si ralegrò, ma stupefatta dimostrando disse: «Che vuol dir questo, o monaca?» La monaca disse: «A me pare uno ugello il quale qui è venuto per beccare innel vostro granaio, che volentieri io vorrei che un simile venisse a beccare innel mio». Checca, che provato avea spesso tal cosa, non curando la monaca s’acostò a Matteo; Mateo fattala certa che la monaca era sua sorella, fu lieta. E gittatala in sul fieno, quine preseno diletto e piacere a loro agio. La monaca, vedendo sentendo aspettando, fornìo il suo desiderio e chiamò Checca dicendo: «Andiamo a madonna la badessa, e dicoti che io ho sparto e tu hai ricolto». Checca consolata si mosse et alcuni fili di paglia, o vero fieno, avea alle reni apiccate.

Venuta alle compagne, la badessa cognoscendo disse: «Checca, tu se’ bella ora; fusse io stata quella cosa che quella paglia dirieto ti fe’ apiccare!» Le donne ch’erano con Checca, cognoscendo quello che sa fare la femina e vedendo Checca innel viso e ne’ panni dirieto increspati e la paglia, pensonno di lei sospetto e disseno: «La badessa se ne potrè’ assai contentare a trovarsi si giovana e bene stretta come tu, Checca!» Checca, che intende le parole, infingendosi di intendere disse: «Madonna la badessa e voialtre, <poi> che qui siemo venute per prendere diletto e piacere, non bisogna motti, ma se altra volta ci seremo, delle paglie non essendocene, per noi se n’aregherà». La badessa disse: «Costei ci fu altra volta». E ditto alle monache che i maccheroni fatti aregassero e dell’altre cose, e così fu fatto e mangionno in santa caritade. E quine stato presso all’ora della cena le donne e Checca preseno cumiato; la badessa offrendo loro lo monestero e loro acettando, si partirono.

Giunte le donne a casa, ciascuna stimando Checca lo giorno aversi prima piena di sotto e poi di sopra, non voleano più con lei andare a feste, e così le disseno la mattina seguente: «Checca, [p. 99 modifica]noi non vogliamo più teco venire alle feste». Checca disse: «O perché?» Le donne disseno: «Però che tu t’empi il corpo senza noi richiedere». Checca infingendosi d’intendere disse: «Mai non mangiai né in corpo mi missi se non erba o fieno: l’erba a li orti e ’l fieno al monistero senza voi». Rispuoseno le donne: «Di tale erba o fieno ne fusse pasciuta la nostra ronzina». E così si partirono.

Checca che la rabia non le mancava, ma crescendole, trovò modo, poi che di fuori et al monistero andar non potea, che Matteo venisse seco a dormire, dicendoli: «Tu puoi venire su per le scale e passerai la prima sala e poi la seconda, e venuto a me con diletto starai». Matteo, che <l’>amava, disse: «Volentieri». E la sera ordinata se n’andò alla casa et entrato dentro saglìo in sala dove monna Lionora tornava, la quale colla sua fante filava: vedendo un’ombra per la scala, disse alla fante che ombra era quella. Matteo subito saglìo la scala seconda, e già monna Lionora e la fante disseno a monna Pasquina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dicendo ch’era quello. Checca sentendo lo romore delle donne di sotto e di quella di sopra, e dice a Matteo: «Io so’ morta; che faremo?» Matteo che non vede modo potersi nascondere, sentendo montare le donne di sotto e scendere quella di sopra, gittòsi in sulla finestra. Le donne disseno: «Checca, u’ è quell’uomo che a te è venuto?» Checca disse: «Io non so che uomo». Disse monna Onesta: «Cerchiamo le finestre». Matteo, udendo ciò dire, pensò non volere vergognar Checca, e gittandosi giú dalla finestra, atenendosi colle mani alla balconata, divenne che sotto li piedi li venne una cornice di ferro in su la quale uno de’ piedi vi tenea stando colle mani alla balconata. Le donne, aprendo le finestre e non vedendo alcuno, disseno: «Per certo uno omo è intrato. Se tu non l’hai in corpo», disseno a Checca, «veramente in questo solaio è». Checca, che sapea che Matteo era in sulle finestre montato, non vedendolo stimava esser caduto, per la qual cosa lei esser vituperata, trovandosi Matteo morto. E non sapea che fare e stava in pensieri.

Matteo, che apiccato era colle mani né altro sostegno avea auto se non quella cornice di ferro, avendo pena grande e per lo [p. 100 modifica]molto stare, più volte diliberò lassarsi cadere; ma pur la speranza lo confortava, faccendosi forte si tenea. E tanto steo che le donne si partirono tornando ciascuna alla sua camera. Checca, stimando Matteo fusse caduto, si fece alla finestra e pianamente dicea: «Matteo, dove se’?» Matteo rispuose con bassa voce: «Io son qui assai doglioso». Checca disse: «Torna su». Matteo disse: «Se vuoi che io vegna, prendi una benda et alle braccia me la lega e tirami su, altramente montare non potrè’». Checca prese una benda che avea in capo, alle braccia lei puose legandole; montata in sulla finestra, meglio che potéo Matteo condusse in sulla finestra.

E’ sceso in sala disse: «Checca, omai ti dico che Matteo non si troverà più a sì fatti pericoli. Se il tuo sedere fusse più odorifero che moscato, non mi t’apresserò mai a questo modo. Ma se nella paglia o fieno ti vorrai ritrovare, in terreno mi potrai avere». E partitosi da lei, né mai più si misse a tali pericoli.

Checca, svergognata né dalle donne piú acompagnata, con altri che con Matteo si potéo far battere la lana del suo montone.

Ex.º xviii.