Novelle (Sercambi)/Novella XX

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Novella XX

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. . . . . . . . . . all’ombra tra Grosseto e Civitavecchia la brigata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stoldo anorevilmente con cintura d’ariento e con bottoni d’argento.

E stando per questo modo sempre furando, avenne che una sera il ditto Stoldo comprando candelle di sevo da una triccola, e innel pagare le ditte candelle lo ditto Stoldo dava meno che non dovea vi denari e colle candelle se n’andava. La tricca gridandoli dirieto dicea: «A’ ladro che m’ha rubata!» Lo cavalieri del podestà udendola — perché stavano molto in ascolto per li furti fatti — , acostandosi alla tricca disse: «Donna, che hai?» Ella disse: «Colui che va innanti m’ha rubato le miei candelle». Lo cavalieri subito si mosse e giunse Stoldo, dicendo: «Va piano!» Stoldo fermatosi, avendo le candelle in mano, dicendo che volea, in quello la donna giunse e disse che l’avea rubata. Stoldo disse che l’avea pagata, salvo che sei denari, e quelli non li parea doverli dare. Il cavalieri, vedendo Stoldo con uno bello scagiale d’ariento e con bella abotonatura d’ariento e tanto orrevile, vedendo portare le candelle e per si piccola cosa farsi gridar dirieto a’ ladro, a’ ladro!, prese sospetto di lui, dicendo: «Costui dé esser di cattiva condizione». E fatto rendere le candelle alla donna, subito lo menò innel palagio.

Stoldo vedendosi menare, a neuna cosa rispondea. Lo podestà domandò lo cavalieri chi era il preso e per che cagione. Lo cavalieri [p. 105 modifica]disse il fatto tutto delle candelle e il sospetto preso di lui. Lo podestà, vedendolo tanto orevile, stimò: «Per certo costui dé esser cattivo poi che così tristamente si lassava la tricca gridare dirieto»; e stimò: «Costui dé esser forsi quello che tanti furti ha fatto». Minacciandolo di parole per sentire sua loquela, li cominciò a dire: «Ladro, tu farai ragione meco». Stoldo, udendo il podestà, tremando a niente rispondea.

Lo podestà comprese costui esser di cattiva vita, e subito menatolo alla colla e fattolo spogliare per tirarlo suso, Stoldo disse: «Io veggo che io debo morire: non mi fate male et io dirò tutto». Lo podestá disse: «Dì». E al notaio suo disse: «Scrive». Stoldo cominciò a dire che lui era quello che di notte colle candelle furava, nomando i luoghi dove furato avea et ove avea le cose tolte et apiattate. Lo podestà mandato a cercare trovò tanta roba che piú xxx mila fiorini valea.

Sentitosi che i’ ladro era preso, ogni persona che perduto avea riebbe il suo perché poche cose avea consumate. Perché era re de’ ladri, lo podestà con una corona in testa in sun un paio di forchi alte lo fe’ apiccare. E così finì sua vita.

Ex.º xx.