Opere minori (Ariosto)/Elegie e Capitoli/Capitolo II
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CAPITOLO SECONDO.
Di sì calloso dosso e sì robusto
Non ha nè dromedario nè elefante
3L’odorato Indo o l’Etiópe adusto,
Che possa star, non che mutar le piante,
Se raddoppiata gli è la soma, poi
6Ch’ei l’ha qual può patir, nè può più innante.1
Legno non va da Gade ai liti eoi,
Che di quanto portar possa, non abbia
9Prescritti a punto li termini suoi.
Se stivata ogni merce, anco di sabbia
Più si raggrava e più, si caccia al fondo,
12Tal che nè antenna non appar nè gabbia.
Non è edificio, nè cosa altra al mondo
Fatta per sostentar, che non ruine,
15Quando soverchia le sue forze il pondo.
Non giova corno o acciar di tempre fine
All’arco, e sia ancor quel che uccise Nesso,
18Che non si rompa a tirar senza fine.
Ahi lasso! non è Atlante sì defesso2
Dal cielo, Ischia a Tiféo non è sì grave,
21Non è sotto Etna Encelado sì oppresso;
Come mi preme il gran peso che m’have
Dato a portar mia stella mio destino,3
24E che a principio sì m’era soave:
Ma poi ch’io fui con quel dritto a cammino,
L’accrebbe ad ogni passo, ed accresce anco;
27Tal ch’io ne vo non pur incurvo e chino,
Non pur io me ne sento afflitto e stanco,
Ma se di più sola una dramma leve
30Giunta mi fia, verrò subito manco.
La nave son, ch’assai più che non deve
Piena e grave, sen va per troppo carco
33Nel fondo, onde mai più non si rileve.
Son quell’oltra il dover sempre teso arco,
Che per rompermi sto, non per ferire,
36Se di tirar l’arcier non è più parco.
Mêta è al dolor quanto si può patire;
Onde ogni poca alterazion che faccia,
39Lo muta in spasmo, e ne fa l’uom morire.
Stolto sarò, quando io perisca e taccia
Sotto il gran peso intollerando e vasto;
42Sì ch’io dirò, prima che oppresso giaccia,
C’ho fatto oltre il poter, e a più non basto.
Note
- ↑ La lezione di queste due terzine è conforme a quella che il Barotti avea trovata nei manoscritti, correggendo gli errori diversi delle antiche edizioni.
- ↑ Può aggiungersi agli esempî del Pulci.
- ↑ Cioè, come a noi pare assai chiaro, il servigio del cardinale Ippolito, di cui mena più volte lamento nelle Satire.