Opere minori 1 (Ariosto)/I Cinque Canti/Canto III

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Canto III

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CANTO TERZO.




ARGOMENTO.


               Gano tornato a Carlo, e inteso avendo
          Di Praga i gran perigli, ajuto dona
          A Cardorano, e tradimento orrendo
          Di Francia ordisce alla real corona:
          Quinci vien con inganni empî togliendo
          Rinaldo al magno re: quinci in persona
          Passa in Marsiglia, e Bradamante prende;
          Ma Orlando al fin di lei prigione il rende.

1 D’ogni desir che tolga nostra mente
Dal dritto corso ed a traverso mande,
Non credo che si trovi il più possente
Nè il più comun di quel dell’esser grande:
Brama ognun d’esser primo, e molta gente
Aver dietro e da lato, a cui comande;
Nè mai gli par che tanto gli altri avanzi,
Che non disegni ancor salir più innanzi.

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2 Se questa voglia in buona mente cade
(Chè in buona mente ha forza anco il desire),
L’uom studia che virtù gli apra le strade,
Che sia guida e compagna al suo salire:
Ma se cade in ria mente (chè son rade
Che dir buone possiam senza mentire),
Indi aspettar calunnie, insidie e morte,
Ed ogni mal si può di peggior sorte.

3 Gano, non gli bastando che maggiore
Non avea alcuno in corte, eccetto Carlo,
Era tanto insolente, che minore
Lui vorría ancora, e avea disio di farlo;
Ed or che soprannatural favore
Si sentia da colei che potea darlo,
Oltra il desire, avea speme e disegno
Fra pochi giorni d’occupargli il regno.

4 E pur che fosse il suo desir successo,
Non saria dal fellon, senza rispetto1
Che tra li primi suoi baroni messo
Carlo l’avea di luogo infimo e abbietto,
Stato ferro nè tosco pretermesso,
Nè scellerato alcun fatto nè detto;
E mille al giorno, non che un tradimento,
Ordito avría per conseguir suo intento.

5 Carlo tutto il successo della guerra
Narrò senza sospetto al Maganzese,
E gli mostrò che avría in poter la terra
Prima che a mezzo ancor fosse quel mese.
Questo nel petto il traditor non serra,
Ma tosto a Cardoran lo fa palese;
E per un suo gli manda a dar consiglio,
Come possa schifar tanto periglio.

6 Da quella volpe il re boemme instrutto,
Mandò un araldo in campo l’altro giorno,
Che così disse a Carlo, essendo tutto
Corso ad udir il popolo d’intorno:
— Il mio signor, dalla tua fama indutto,
O imperador d’ogni virtute adorno,

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Per crudeltà non pensa nè avarizia
Ch’abbi raccolto qui tanta milizia;

7 Nè che tu metta il fin di tua vittoria
In avergli la vita o il stato tolto,
Ma solo in aver vinto; chè tal gloria
Più che sua morte o che ’l suo aver val molto,
Acciò che il nome tuo nella memoria
Del mondo viva e mai non sia sepolto:
Che contra ogni ragion saresti degno,
Come tu sei, se fessi altro disegno.

8 Ma tu non guardi forse, che l’effetto
Tutto contrario appar a quel che brami:
Tu brami d’esser glorioso detto,
E coll’effetto tuttavia t’infami.
Che tu sia entrato nel nostro distretto
Con cento mille armati, gloria chiami;
Ma quanto ella sia grande estimar dêi,
Che noi siamo a fatica un contra sei.

9 Miliziade e Temistocle converse
A parlare in suo onor tutte le genti,
Perchè con pochi armati, questi Xerse,
Quel vinse Dario, in terra, in mar possenti.
Vincer pochi con molti, mai tenerse
Non sentisti fra l’opere eccellenti.
Se in te è valor, pon giù il vantaggio, e poi
Vieni alla prova, e vincine, se puoi.

10 Da solo a sol la pugna t’offerisce,
Da dieci a dieci, o vuoi da cento a cento,
Il mio signor; e accresce e minuisce,
Secondo che accettar tu sei contento:
Con patto, che se Dio lui favorisce,
Sì che tu resti o vinto o preso o spento,
Che tu gli abbi a rifar e danni e spese,
E tornar col tuo campo in tuo paese;

11 Nè chi la Francia e chi l’Impero regge,
Fino a cento anni lo guerreggi mai:
Ma se tu vinci lui, torrà ogni legge
Che imporre a senno tuo tu gli vorrai.
Il buon pastor pon l’anima pel gregge:
Essendo tu quel re di che fama hai,
La tua persona o di pochi altri arrisca,
Acciò così gran popol non perisca. —

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12 Così disse l’araldo, nè risposta
L’imperador gli diede allora alcuna;
Ma dalla moltitudine si scosta,
E i consiglieri suoi seco raguna,
Chè lor sentenzie sopra la proposta
Dell’araldo udir vuol ad una ad una.
Il primo fu Turpin che consigliasse,
Che l’invito del Barbaro accettasse,

13 Non già da solo a sol, ma in compagnia
Di quattro o sei de’ suoi guerrier più forti;
Dei quali esser egli2 uno si offeria.
Così Namo ed Uggier par che conforti;
E che fra dieci dì la pugna sia,
O quanto può, che ’l termine più scorti:
Perchè, successo che lor sia ben questo,
Possano volger poi l’animo al resto.

14 Era in quei cavalier tanta arroganza
Pei fortunati antichi lor successi,
Che tutti in quella impresa, con baldanza
Di restar vincitor, si sarían messi.
Poi disse il suo parer quel di Maganza,
Che la pugna accettar pur si dovessi;
Ma non però venir a farla innante
Che Rinaldo ci fosse o quel d’Anglante;

15 Che ci fosse Olivier con ambi i figli,
Ruggier ed alcun altro dei famosi:
Chè quando senza questi ella si pigli,
Fôran di Carlo i casi perigliosi.
— Tenete voi sì privi di consigli
Gl’inimici, dicea, che fosser osi
Di domandar a par a par battaglia,
Se non han gente che al contrasto vaglia?

16 Se non c’intervenisse la corona
Di Francia, non avrei tanti riguardi;
Benchè, nè senza ancor, di scelta buona
Si dê mancar in tôrre i più gagliardi:
Ma dovendo venirci il re in persona,
Come abbastanza potremo esser tardi
A dargli, con consiglio ben maturo,
Compagnia colla qual sia più sicuro?

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17 Io non vi contraddico che valenti
Cavalier qui non sian, come coloro
Che nominati v’ho per eccellenti;
Ma non sappiam così le prove loro.
Questo luogo non è da esperimenti
Di chi sia, al paragon, di rame o d’oro:
Vogliam di quei che cento volte esperti
Della virtude lor n’han fatti certi. —

18 E seguitò mostrando, con ragioni
Di più efficacia ch’io non so ridire,
Che non doveano senza i duo campioni,
Lumi di Francia, a tal prova venire;
E la sua vinse l’altre opinïoni,
Che la pugna si avesse a differire,
Fin che venisse a così a gran bisogna
L’uno d’Italia e l’altro di Guascogna.

19 Queste parole ed altre dicea Gano,
Per carità non già del suo signore,
Ma di vietar che non gli andasse in mano
Quella città studiava il traditore,
E tanto prolungar che Cardorano
L’ajuto avesse che attendea di fuore:
In somma, il suo parer parve perfetto,
E fu per lo miglior di tutti eletto.

20 Che diece i guerrier fossero, si prese
Conclusïon, pur come Gano volse;
E da’ diece di maggio al fin del mese
Di giugno un lungo termine si tolse.
In questo mezzo, si levâr le offese,
E quello assedio tanto si disciolse,
Che Praga potea aver di molte cose
Che fossino alla vita bisognose.

21 Nuove intanto venian dell’apparecchio
Che l’Ungaro facea d’armata grossa;
Ma sempre Gano a Carlo era all’orecchio,
Che dicea: — Non temer che faccia mossa. —
Io lessi già in un libro molto vecchio,
Nè l’autor par che sovvenir mi possa,
Ch’Alcina a Gano un’erba al partir diede,
Che chi ne mangia fa ch’ognun gli crede.

22 Quella mostrò nel monte Sina Dio
A Moisè suo, sì che con essa poi

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Il popol duro fece umile e pio,
E ubbidïente alli precetti suoi.
Poi la mostrò il demonio a Macon rio,
A perdizion degli Afri e degli Eoi:
La tenea in bocca predicando, e valse
Ritrar chi udiva alle sue leggi false.

23 Gano, avendo già in ondine l’orsojo,3
Di sì gran tela apparecchiò la trama;
E quel demon che d’uno in altro cojo4
Si sa mutar, a sè dall’anel chiama.
— Vertunno, disse, di desir mi muojo
Di fornir quel che da me Alcina brama;
E pensando la via, veggio esser forza
Che d’alcun ch’io dirò, tu pigli scorza. —

24 E le parole seguitò, mostrando
Che tramutar s’avea prima in Terigi;
Terigi che scudiero era d’Orlando,
Venuto da fanciullo a’ suoi servigi:
E dopo in altre facce, e seminando
Dovea gir sempre scandali e litigi.
Presa che di Terigi ebbe la forma,
Di quanto avesse a far tolse la norma.

25 Di sua mano le lettere si scrisse
Credenzïal, come dettògli Gano;
Che, con stupor vedendole, poi disse
Orlando e Carlo, ch’eran di sua mano.
Postovi il sigil sopra, dipartisse
Vertunno, e col signor di Mont’Albano,
Ch’era a campo a Morlante, ritrovòsse
Prima che giunto al fin quel giorno fosse.

26 Presso a Morlante avea Rinaldo, e sotto
Il vicin monte, avuto aspra battaglia;
Ed in essa lo esercito avea rotto
Delli nemici, e morto e messo a taglia.
Unuldo nella terra era ridotto,
E Rinaldo gli avea fatto serraglia,5

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Pien di speranza, in uno assalto o dui,
D’aver in suo poter la terra e lui.

27 Veduto il viso ed il parlare udito,
Che di Terigi avean chiara sembianza,
Rinaldo fa carezze in infinito
Al messaggier del conte di Maganza:
Che sia d’Orlando, e quel ch’avea sentito
Per fama, gli domanda con instanza;
Come abbia a piè dell’Alpi, ed indi appresso
Vercelli, in fuga il Longobardo messo.

28 Come presente alle battaglie stato
Fosse il demonio, gli facea risposta;
E la lettera intanto, che portato
Di credenza gli avea, gli ebbe in man posta.
Quel l’apre e legge; e lui per man pigliato,
Da chi lo possa udir seco discosta.
Vertunno, prima ch’altro incominciasse,
Di petto un’altra lettera si trasse.

29 Poi disse: — Il cugin vostro mi commise
Ch’io vi facessi legger questa appresso. —
Rinaldo mira le note precise,6
Che gli pajon di man di Carlo istesso;
Il quale Orlando di Boemia avvise
D’esser pentito senza fin, che messo
Così potente esercito abbia in mano
Dell’audace signor di Mont’Albano:

30 Però che, vinto Unuldo (come crede
Che vincer debbia) e toltogli Guascogna,
Egli d’Unuldo esser vorrà l’erede,
Chè crescer stato a Mont’Albano agogna;
E la sospizïon c’ha della fede
Di Rinaldo corrotta, non si sogna:
In somma, par che sia disposto Carlo,
Per forza o per amor, quindi levarlo.

31 Ma che prima tentar vuol per amore;
Finger ch’al maggior uopo lo dimande
Per un dei diece il cui certo valore
Abbatta a Cardoran l’orgoglio grande;
E vuol per questo che dia un successore
All’esercito c’ha da quelle bande;

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E che disegna mai più non gli porre
Governo in man, se gli può questo tôrre.

32 Vuol che Orlando gli scriva, ch’esso ancora
Sarà in questa battaglia un degli eletti,
E gl’insti7 che, rimossa ogni dimora,
Veduto il successor venire, affretti.
Rinaldo, mentre legge, s’incolora
Per ira in viso, e par che fuoco getti;
Morde le labbia, or l’uno or l’altro; or geme,
E più che ’l mar, quand’ha tempesta, freme.

33 Letta la carta, il spirto gli soggiunge,
Pur da parte d’Orlando: — Abbiate cura,
Chè se alla discoperta un dì vi giunge,
Vi farà Carlo peggio che paura;
Però che tuttavia Gano lo punge
Che la corte di voi faccia sicura:
La qual, sì come dice egli, ogni volta
Che voglia ve ne vien, sossopra è vôlta.

34 Al cugin vostro acerbamente duole
Che ’l re tenga con voi questa maniera,
Che cerchi, a instanza di chi mal vi vuole,
Far parer vostra fè men che sincera;
E che più creda alle false parole
D’un traditor, che a tanta prova vera
Che si vede di voi: ma dagli ingrati
Son le più volte questi modi usati.

35 Chè, quando l’avarizia li ritiene
Di render premio a chi di premio è degno,
Studian far venir causa, e se non viene,
La fingon, per la quale abbiano sdegno;
E di esilio, di morte o d’altre pene,
In luogo di mercè, fanno disegno;
Per far parer che un vostro error seguíto,
Quel ben che far voleano, abbia impedito.

36 Orlando, perchè v’ama, e perchè aspetta
Il medesmo di sè fra pochi giorni,
Che ’l re in prigion, Gano instigando, il metta,
O gli dia bando o gli faccia altri scorni
(Chè, come contra voi, così lo alletta

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Contra esso ancor), senza far più soggiorni,
Per me vi esorta a prender quel partito
Ch’egli ha di tôr di sè già statuito:

37 Che di quel mal che senza causa teme,
Facciate morir Carlo, come merta.
Prendete accordo con Unuldo, e insieme
Con lui venite a fargli guerra aperta:
Vegga se Gano, e se ’l suo iniquo seme,
Contra il valor e la possanza certa
Di Chiaramonte, e l’una e l’altra lancia
Tanto onorata, può difender Francia. —

38 E seguitò dicendogli, che Orlando
Prima favor occulto gli darebbe;
Poscia in ajuto alla scoperta, quando
Fosse il tempo, in persona gli verrebbe.
Rinaldo avea grand’ira, ed attizzando
Il fraudolente spirto, sì l’accrebbe,
Ch’allora allora pensò armar le schiere,
E levar contra Carlo le bandiere:

39 Poi differì fin che arrivasse il messo
Che alla pugna boemica il chiamasse,
E che sentisse comandarsi appresso,
Che in guardia altrui l’esercito lasciasse
Quel che Gano gli avea quivi commesso,
Vertunno a fin con diligenzia trasse:
Poi, con lettere nuove e nuovo aspetto,
Venne a Marsilia e fece un altro effetto.

40 D’Arriguccio s’avea presa la faccia.
Ch’era di Carlo un cavallare8 antico:
Egli scrive le lettere, egli spaccia
Sè stesso, e chiude nella bolgia il plico:
L’insegna al petto e il corno al fianco allaccia,
E fu a Marsilia in men ch’io non lo dico;
E le dettate lettere da Gano
Pose a Ruggiero ed alla moglie in mano.

41 Alla sorella di Ruggier, Marfisa,

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Mostrò che Carlo lo mandasse ancora,
Come a tutti tre insieme, e poi divisa-
mente a ciascun da Carlo scritto fôra.9
Sotto il nome del re, Gano gli avvisa
Che navighi Ruggier senza dimora
Ver’ le colonne che Tirintio fisse,
E sorga sopra la città d’Ulisse:10

42 E Marfisa, cogli altri da cavallo,
Si vada con Rinaldo a porre in schiera;
Chè vinto Unuldo, come senza fallo
Vederlo vinto in pochi giorni spera,
Vuol che assalti Galizia e Portogallo:
Nè l’impresa esser può se non leggiera;
Chè gli dà ajuto, passo e vettovaglia
Alfonso d’Aragon, re di Biscaglia.

43 Appresso scrive all’animosa figlia
Del duca Amon, che stia sicuramente;
Che nè da terra nè da mar Marsiglia
Ha da temer di peregrina gente.
Se false o vere son, non si consiglia,
Nè si pensa alle lettere altramente:
Ruggier va in Spagna, Marfisa a Morlante,
Resta a guardar Marsilia Bradamante.

44 L’imperadore, intanto, che le frode
Non sa di Gano, e solo in esso ha fede,
Di tutti gli altri amici il parer ode,
Ma solamente a quel di Gano crede;
Nè cavalier se non che Gano lode,11
A far quella battaglia non richiede:
Con lui consiglia chi si debba porre
Nei luoghi onde li duo s’aveano a tôrre.

45 Quando Gano ha risposto, ogni altro chiude
La bocca, nè si replica parola.
In luogo di Rinaldo egli conchiude
Che mandi Namo: e l’intenzion n’è sola
Perchè Rinaldo, a cui le voglie crude
L’ira facea, lo impicchi per la gola;

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Chè penserà, che sol lo mandi Carlo
Per levargli l’esercito, e pigliarlo.

46 Consiglia che si lassi Balduino
A governar in Lombardia le squadre;
Il qual fratel d’Orlando era uterino,
Nato, come ho già detto, d’una madre;
Cortese cavaliero e paladino,
E degno a cui non fosse Gano padre.
Per consiglio del qual Carlo lo elesse
Che all’imperio fraterno succedesse.

47 Li diece eletti alla battaglia fôro
Carlo, Orlando, Rinaldo, Uggier, Dudone,
Aquilante, Grifone, il padre loro,
E con Turpino il genero d’Amone.
Fatta la elezïone di costoro,
Si spacciaro in diversa regïone
Prima gli avvisi, e poi quei che ordinati
In luogo fûr dei capitan chiamati.

48 Namo fu il primo, il qual, correndo in posta,
Insieme coll’avviso era venuto.
Già Rinaldo sua causa avea proposta,
E dimandato alla sua gente ajuto;
Che tanto in suo favor s’era disposta,
Che, dai maggiori al popolo minuto,
Tutti affatto volean prima morire,
Che Rinaldo lasciar così tradire.

49 Tra Rinaldo ed Unuldo già fatt’era
Accordo ed amicizia, ma coperta.
Allo arrivar del duca di Baviera,
Rinaldo, che la fraude avea per certa,
Di sdegno arse e di collera sì fiera,
Che tre volte la man pose a Fusberta,
Con voglia di chiavargliela12 nel petto;
Pur (non so già perchè) gli ebbe rispetto.

50 Ma spesso nominandol traditore,
E Carlo ingrato, e minacciandol molto
Che lo faría impiccar in disonore
Di Carlo, lo raccolse con mal volto.
Namo, a cui poco noto era l’errore
In che Vertunno avea Rinaldo involto,

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Mirando ove dall’impeto era tratto,
Stava maraviglioso e stupefatto:

51 Ma magnanimamente gli rispose,
Che, traditor nomandolo, mentia.
Rinaldo, se non ch’uno s’interpose,
Alzò la mano e percosso l’avria:
Prender lo fece, ed in prigion lo pose;
E tolto ch’ebbe Unuldo in compagnia,
Le ville, le cittadi e le castella
Del re per forza e per amor rubella.

52 E dovunque ritrovi resistenza,
O dà il guasto o saccheggia o mette a taglia:
Gli dà tutta Guascogna ubbidïenza,
E poche terre aspettan la battaglia.
Gan di Pontier, che n’ebbe intelligenza,
Chè del tutto Vertunno lo ragguaglia,
Con lieto cor, ma con dolente viso,
Fu il primo che ne diede a Carlo avviso.

53 Gano gli diede avviso, e poi che ’l varco,
Come bramato avea, vide patente13
Di potersi cacciare a dire14 incarco
Ed ignominia del nemico absente,
Sciolse la crudel lingua, e non fu parco
A mandar fuor ciò che gli venne in mente:
Dei falli di Rinaldo, poi che nacque,
Che fece o potè far, nessuno tacque.

54 Come si arrôta15 e non ritrova loco
Nè in ciel nè in terra un’agitata polve;
Come nel vase acqua che bolle al foco,
Di qua di là, di su di giù si volve:
Così il pensier gira di Carlo, e poco
In questa parte o in quella si risolve.
Provvisïon già fatta nulla giova;
Tutta lasciar conviensi, e rifar nuova.

55 Se padre a cui sempre giocondo e bello
Fu di mostrarsi al suo figliuol benigno,
Se lo vedesse in contra alzar coltello,
Fatto senza cagione empio e maligno;

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Più maraviglia non avría di quello
Ch’ebbe Carlo, vedendo in corvo il cigno
Rinaldo esser mutalo, e contra Francia
Vôlta senza cagion la buona lancia.

56 Quel che avverría a un nocchier che si trovasse
Lontano in mar, e fremer l’onde intorno,
Tônar di sopra, e andar le nubi basse
Vedesse negre ed oscurarsi il giorno;
Che mentre a divietar s’apparecchiasse
Di non aver dalla fortuna scorno,
Il governo perdesse, o simil cosa
Alla salute sua più bisognosa:

57 Quel che avverrebbe a una cittade astretta
Da’ nemici crudel, privi di fede,
Che d’alcun fresco oltraggio far vendetta
Abbian giurato e non aver mercede;
Che, mentre la battaglia ultima aspetta
E all’ultima difesa si provvede,
Vegga la munizion arsa e distrutta,
In che avea posta sua speranza tutta:

58 Quel che avverría a ciascun che già credesse
D’aver condotto un suo disire a segno,
Dove col tempo la fatica avesse,
L’aver, posto, gli amici, ogni suo ingegno;
E cosa nascer subito vedesse
Pensata meno, e rompergli il disegno:
Quel duol, quell’ira, quel dispetto grave
A Carlo vien, come l’avviso n’have.

59 Or torna a Carlo il conte di Pontiero,
E gli dà un altro avviso di Marsiglia,
Ch’indi sciolta l’armata avea Ruggiero
Per uscir fuor del stretto di Siviglia,
Nè ad alcuno avea detto il suo pensiero;
E certo, poi che questa strada piglia,
Gli è manifesto che, voltando intorno,
Si troverà sorto in Guascogna un giorno.

60 E della conjettura sua non erra;
Perchè Marfisa ad un medesmo punto
Se n’era coi cavalli ita per terra,
Ed a Rinaldo avea potere aggiunto.
Or, se Carlo temea di questa guerra,
Chè Rinaldo lo fa restar consunto;

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Quanto ha più da temer, se questi dui
Di tal valor, si son messi con lui?

61 Gano con molta instanza lo conforta,
Che di Rinaldo levi la sorella,
Prima che di Provenza e d’Acquamorta
Seco gli faccia ogni città rubella,
Ed al fratello apra quest’altra porta
D’entrare in Francia sin nelle budella;
Chè ben deve pensar, ch’ella il partito16
Piglierà del fratello e del marito.

62 E che mandasse subito a Riccardo,
Ch’avea l’armata in punto, anco gli disse,
Acciò che dal Fiammingo e dal Piccardo
Nell’Atlantico mar ratto venisse;
Ed il rubello e truffator stendardo
Di Ruggiero inimico perseguisse,
Che con tutte le navi s’avea, senza
Sua commission, levato di Provenza;

63 E che subito a Orlando paladino
Con diligenza vada una staffetta
Ad avvisarlo, come avea il cugino
Del perfido Aquitan preso la setta;
E ch’egli dia la gente a Balduino,
Ripassi l’Alpi, e a Francia corra in fretta,
E con lui meni tutta quella schiera
Che dianzi gli ha mandata di Baviera;

64 E che tra via faccia cavalli e fanti,
Quanto più può da tutte le contrade;
Non quelli sol che gli verranno innanti,
Ma che costringa a darne ogni cittade,
Altre mille, altre il doppio, altre non tanti,
Come più e meno avran la facultade:
E ch’egli dare il terzo gli volea
Di questi che in Boemia seco avea.

65 Carlo pensava chi d’Orlando in vece,
E chi degli altri duo poner dovea
Nella battaglia, che da diece e diece
Dianzi promessa a Cardorano avea.

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Come quel mulattiero, in somma, fece,
Ch’avea il coltel perduto e non volea,
Che si stringesse il fodro vôto e secco,
E ’n luogo del coltel rimise un stecco:

66 Così, in luogo d’Orlando e di Ruggiero
E di Rinaldo, fu da Carlo eletto
Ottone, Avolio e il frate Berlinghiero;
Chè Avino infermo era già un mese in letto.
Gli dà consiglio il conte di Pontiero,
Che di Giudea si chiami Sansonetto,
Per valer, meglio, quando a tempo giugna,
Che i tre figli di Namo in questa pugna.

67 A danno lo dicea, non a profitto
Di Carlo, il traditor; perchè all’offesa
Che di far in procinto ha il re d’Egitto,
Non sia in Gerusalem tanta difesa.
A Sansonetto fu subito scritto,
E dal corrier la via per Tracia presa,
Il qual mutando bestie, sì le punse,
Che in pochi giorni a Palestina giunse.

68 Di tôr Marsilia si proferse Gano,
Senza che spada stringa o abbassi lancia:
Vuol sol da Carlo una patente in mano
Da poter comandar per tutta Francia.
Nulla propone il fraudolente in vano:
Se giova o nuoce, Carlo non bilancia;
Nè ventila altrimenti alcun suo detto,
Ma subito lo vuol porre ad effetto.

69 Di quanto avea ordinato il Maganzese
Andò l’avviso all’Ungaro e al Boemme,
Nelle Marche, in Sansogna si distese,
In Frisa, in Dacia, all’ultime maremme.
Gano de’ suoi parenti seco prese,
Seco tornati di Gerusalemme;
E quindi se n’andò per tôr la figlia
Del duca Amon, con frode, di Marsiglia.

70 Di Baviera in Suevia, ed indi, senza
Indugio, per Borgogna e Uvernia sprona;
E molto declinando da Provenza,
Sparge il rumor d’andar verso Bajona:
Finge in un tratto di mutar sentenza,
E con molti pedoni entra in Narbona,

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Che per Francia, in gran fretta, e per la Magna
Raccolti e tratti avea seco in campagna.

71 Giunge in Narbona all’oscurar del giorno,
E, giunto, fa serrar tutte le porte,
E pon le guardie ai porti e ai passi intorno,
Chè novella di sè fuor non si porte.
D’un corsar genovese (Oria od Adorno
Fosse, non so) quivi trovò a gran sorte
Quattro galée, con che predando gia
Il mar di Spagna e quel di Barberia.

72 Gano, dato a ciascun debiti premi,
Sopra i navigli i suoi pedoni parte;
E, come biancheggiar vide gli estremi
Termini d’orïente, indi si parte,
E va quanto più può con vele e remi:
Ma tien l’astuto all’arrivar quest’arte,
Che non si scuopre a vista di Marsiglia,
Prima che ’l sol non scenda oltra Siviglia.

73 La figliuola d’Amon, che non sa ancora
Che Rinaldo rubel sia dell’Impero,
Veduto il Giglio che sì Francia onora,
La Croce bianca e l’uccel bianco e il nero,17
E poi Vertunno in sulla prima prora,
Che avea l’insegna e il viso di Ruggiero,
Senza timor, senz’armi, corse al lito,
Credendosi ire in braccio al suo marito;

74 Il qual sia, per alcun novo accidente,
Tornato a lei con parte dell’armata:
Non dal marito, ma dal fraudolente
Gano si ritrovò ch’era abbracciata.
Come chi côrre il fior volea, e il serpente
Trova che ’l punge; così disarmata,
E senza poter fargli altra difesa,
Dagl’inimici suoi si trovò presa.

75 Si trovò presa ella e la rôcca insieme,
Che non vi potè far difesa alcuna.
Il popol, che ciò sente e peggio teme,
Chi qua chi là con l’armi si raguna;
Il rumor s’ode, come il mar che freme

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Vôlto in furor da subita fortuna:
Ma poi Gano parlandogli, e di Carlo
Mostrando commission, fece acchetarlo.

76 Disegna il traditor che di vita esca
La sua nemica, innanzi ch’altri il viete;
Poi muta voglia, non che glie n’incresca
Nè del sangue di lei non abbia sete;
Ma spera poter meglio con tal’esca
Rinaldo e Ruggier trarre alla sua rete:
E tolti alcuni seco, con speranza
Di me’ guardarla, andò verso Maganza.

77 Duo scudier della donna, che a tal guisa
Trar la vedean, montâr subito in sella;
E l’uno andò a Rinaldo ed a Marfisa
Verso Guascogna a darne la novella;
L’altro Orlando trovar prima s’avvisa,
Che ’l campo non lontano avea da quella,
Da quella strada, per la qual captiva
La sfortunata giovane veniva.

78 Orlando avendo in commissione avuto
Di dare altrui l’impresa de’ Lombardi,
Ed a’ Franceschi accorrere in ajuto
Contra Rinaldo e li fratei gagliardi,
Era già in ripa al Rodano venuto,
E fermati a Valenza avea i stendardi;
Dove da Carlo esercito aspettava,
Altro n’aveva ed altro n’assoldava.

79 Venne il scudiero, e gli narrò la froda
Che alla donna avea fatto il Conte iniquo,
E che in Maganza lungi dalla proda
Del fiume la traea per calle obliquo;
Poi gli soggiunse: — Non patir che goda
D’aver quest’onta il tuo avversario antiquo
Fatta al tuo sangue. Se ciò non ti preme,
Come potranno in te gli altri aver speme? —

80 Di sdegno Orlando, ancor che giusto e pio,
Fu per scoppiar, perchè volea celarlo,
Come di Gano il novo oltraggio udio;
E benchè fa pensier di seguitarlo,
Pur se ne scusa e mostrasi restio,
Chè far non vuol sì grave ingiuria a Carlo,
Per commission del qual sa ch’avea Gano

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Posto in Marsilia e nella donna mano.

81 Così risponde, e tuttavia dirizza
A far di ciò il contrario ogni disegno;
Chè l’onta sì della cugina attizza,
Sì accresce il foco dell’antico sdegno,
Che non trova per l’ira e per la stizza
Loco che ’l tenga, e non può stare al segno:
A pena aspettar può che notte sia,
Per pigliar dietro al traditor la via.

82 Nè Brigliador nè Valentino prese,
Perchè troppo ambi conosciuti furo;
Ma di pel bigio un gran corsiero ascese,
Ch’avea il capo e le gambe e ’l crine oscuro:
Lasciò il quartiere e l’altro usato arnese,
E tutto si vestì d’un color puro:
Partì la notte, e non fu chi sentisse,
Se non Terigi sol, che si partisse.

83 Gano per l’acque Sestie,18 indi pel monte
Alla man destra avea preso il cammino;
Passò Druenza ed Issara, ove il fonte
A men di quattro miglia era vicino;
Chè nel paese entrar volea del conte
Marcario di Losana, suo cugino;
E per terre di Svizzeri andar poi,
E per Lorena, a’ Maganzesi suoi.

84 Orlando venne accelerando il passo,
Chè ogni via sapea quivi o breve o lunga;
E come cacciator ch’attende al passo
Che a ferire il cinghial lo spiedo giunga,
Si mise fra duo monti dietro un sasso:
Nè molto Gano il suo venir prolunga,
Che dinanzi e di dietro e d’ambi i lati
Cinta la donna avea d’uomini armati.

85 Lasciò di molta turba andare innante
Orlando, prima che mutasse loco;
Ma come vide giunger Bradamante,
Parve bombarda a cui sia dato il foco.
Con sì fiero e terribile sembiante
L’assalto cominciò per durar poco:
La prima lancia a Gano il petto afferra,

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E ferito aspramente il mette a terra.

86 Passò lo scudo, la corazza e il petto;
E se l’asta a lo scontro era più forte,
Gli saría dietro apparso il ferro netto,
Nè data fôra mai più degna morte.
Pur giacer gli conviene a suo dispetto,
Nè quindi si può tôr, ch’altri nol porte:
Orlando il lassa in terra e più nol mira,
Vôlta il cavallo e Durindana aggira.

87 Le braccia ad altri, ad altri il capo taglia;
Chi fino a’ denti e chi più basso fende;
Chi nella gola e chi nell’anguinaglia,
Chi forato nel petto in terra stende.
Non molto in lungo va quella battaglia,
Chè tutta l’altra turba a fuggir prende:
Li caccia Orlando quasi mezza lega,
Indi ritorna e la cugina slega.

88 La quale, eccetto l’elmo e il scudo19 e il brando,
Tutto il resto dell’arme ritenea;
Chè Gano, per alzar sua gloria, quando
Non più ch’una donzella presa avea,
Pensò, avendola armata, ir dimostrando
Che ’l medesimo onor se gli dovea,
Che ad Ercole e Teseo gli antichi dênno
Di quel che a Termodonte in Scizia fenno.20

89 Orlando, che non volse conosciuto
Esser d’alcuno, indi accusato a Carlo;
E per ciò con un scudo era venuto
D’un sol color, che fece in fretta farlo;
Andò là dove Gano era caduto,
E prima l’elmo, senza salutarlo,
E dopo il scudo e la spada gli trasse,
E volse che la donna se n’armasse.

90 Poi se n’andò fin che a Mattafellone,
Il buon destrier di Gan, prese la briglia,
E ritornando fece nell’arcione
Salir d’Amon la liberata figlia;
Nè, per non dar dà sè cognizïone,
Levò mai la visiera dalle ciglia:

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Poi, senza dir parola, il freno volse,
E di lor vista in gran fretta si tolse.

91 Bradamante lo prega che ’l suo nome
Le voglia dire, ed ottener nol puote:
Orlando in fretta il destrier sprona, e come
Corrier che vada a gara, lo percuote.
Va Bradamante a Gano, e per le chiome
Gli leva il capo, e due e tre volte il scuote;
Ed alza il brando nudo ad ogni crollo,
Con voglia di spiccar dal busto il collo.

92 Ma poi si avvide che, lasciandol vivo,
Potría Marsilia aver per questo mezzo,
E gli faría bramar, d’ogni agio privo,
Che di sè fosse già polvere e lezzo.
Come ladro il legò, non che captivo,
E col capo scoperto al sole e al rezzo,
Per lunga strada or dietro sel condusse,
Or cacciò innanzi a gran colpi di busse.

93 Quella sera medesima veduto
Le venne lo scudier del quale io dissi
Che andò a Valenza a domandare ajuto,
Nè parve a lui che Orlando lo esaudissi;
Indi era dietro l’orme egli venuto
Di Gano, per veder ciò che seguissi
Della sua donna, e per poter di quella
Ai fratelli portar poi la novella.

94 A costui diede la cavezza in mano,
Che pel collo, pel fianchi e per le braccia,
Sopra un debol ronzin, l’iniquo Gano
Traéa legato a discoperta faccia.
Curar la piaga gli fe da un villano,
Che per bisogno in tali opre s’impaccia;
Il qual, stridendo Gano per l’ambascia,
Tutta l’empie di sale, e appena fascia.

95 Il Maganzese al collo un cerchio d’oro,
E preziose anella aveva in dito,
Ed alla spada un cinto di lavoro
Molto ben fatto e tutto d’or guernito:
E queste cose e l’altre che trovoro
Di Gano aver del ricco e del polito,
La donna a Sinibaldo tutto diede,
Ch’era di maggior don degna sua fede.

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96 A Sinibaldo, che così nomato
Era il scudier, con l’altre anco concesse
La gemma in che Vertunno era incantato,
Ma non sapendo quanto ella gli desse:
Nè sapendolo ancora a chi fu dato,
Con l’altre anella in dito se lo messe;
Stimòllo ed ebbe in prezzo, ma minore
Di quel ch’avría, sapendo il suo valore.

97 Pel Delfinato, indi per Linguadoca
Ne va, dove trovar spera il fratello,
Ch’avea Guascogna, e ne restava poca
Omai, ridotta al suo voler ribello.
Come la volpe che gallina od oca,
O lupo che ne porti via l’agnello,
Per macchie e luoghi ove in perpetuo adugge
L’ombra le pallide erbe, ascoso fugge;

98 Ella così dalle città si scosta
Quanto più può, nè dentro mura alloggia;
Ma dove trovi alcuna cosa21 posta
Fuor della gente, ivi si corca o appoggia:
Il giorno mangia e dorme e sta riposta;
La notte al cammin suo poi scende e poggia:
Le par mill’anni ogni ora che ’l ribaldo
S’indugi a dar prigione al suo Rinaldo.

99 Come animal salvatico, ridotto
Pur dianzi in gabbia o in luogo chiuso e forte,
Corre di qua e di là, corre di sotto,
Corre di sopra, e non trova le porte;
Così Gano, vedendosi condotto
Da’ suoi nemici a manifesta morte,
Cercava col pensier tutti li modi
Che lo potesson trar fuor di tai nodi.

100 Pur la guardia gli lascia un dì tant’agio,
Che dà dell’esser suo notizia a un oste;
E gli promette trarlo di disagio
S’andar vuol a Bajona per le poste,
Ed a Lupo figliuol di Bertolagio
Far che non sian le sue miserie ascoste;

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Chè in costui spera, tosto che lo intenda,
Che alli suoi casi alcun rimedio prenda.

101 L’oste, più per speranza di guadagno,
Che per esser di mente sì pietosa,
Salta a cavallo, e la sferza e il calcagno
Adopra, e notte o dì poco riposa:
Giunse, io non so s’io dica, al lupo o all’agno;
So ch’io l’ho da dir agno in una cosa:
Ch’era di cor più timido che agnello,
Nel resto lupo insidïoso e fello.

102 Tosto che Lupo ha la novella udita,
Senza fare il suo cor noto a persona,
Con cento cavalier della più ardita
Gente ch’avesse, uscì fuor di Bajona;
E verso dove avea la strada uscita,
Che facea Bradamante, in fretta sprona;.
Poi si nasconde in certe case guaste,
Ch’eran tra via, ma che a celarlo baste.22

103 L’oste quivi lasciando i Maganzesi,
Andò per trovar Gano e Bradamante,
Chè dall’insidie e dalli lacci tesi
Non pigliassero via troppo distante.
Non molto andò che di lucenti arnesi
Guarnito un cavalier si vide innante,
Che cacciando il destrier più che di trotto,
Parea da gran bisogno esser condotto.

104 Galoppandogli innanzi iva un valletto,
Due damigelle poi, poi veniva esso:
Le damigelle avean l’una l’elmetto,
L’asta e lo scudo all’altra era commesso.
Prima che giunga ove lor possa il petto
Vedere o ’l viso, o più si faccia appresso,
L’oste all’incontro la figlia d’Amone
Vede venir col traditor prigione.

105 Poi vide il cavalier dalle donzelle,
Tosto che a Bradamante fu vicino,
Ire abbracciarla, ed accoglienze belle
Far l’uno all’altra a capo umile e chino;
E poi ch’una o due volte iterâr quelle,

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Volgersi e ritornar tutte23 a un cammino:
E chi pur dianzi in tal fretta venia,
Lasciar per Bradamante la sua via.

106 Quest’era l’animosa sua Marfisa,
La qual non si fermò, tosto ch’intese
Della cognata presa, ed in che guisa;
E per ire in Maganza il cammin prese,
Certa di liberarla, pur che uccisa
Già non l’avesse il Conte maganzese;
E se morta era, far quivi tai danni,
Che desse al mondo da parlar mill’anni.

107 L’oste giunse tra loro e salutòlle
Cortesemente, e mostrò far l’usanza.
Chè la sera albergar seco invitòlle,
E finse che non lungi era la stanza;
Poi, mal accorto, a Gano accennar volle,
E del vicino ajuto dar speranza:
Ma dal scudier che Gano avea legato,
Fu il misero veduto ed accusato.

108 Marfisa, ch’avea l’ira e la man presta,
Lo ciuffò nella gola, e l’avría morto.
Se non facea la cosa manifesta
Ch’avea per Gano ordita, ed il riporto:24
Pur gli travolse in tal modo la testa,
Ch’andò poi, fin che visse, a capo torto.
Le chiome in fretta armâr, ch’eran scoperte,
Delle vicine insidie amendue certe.

109 Tolgon tra lor con ordine l’impresa,
Che Bradamante non s’abbia a partire,
Ma star del traditore alla difesa,
Ch’alcun nol scioglia nè faccia fuggire;
E che Marfisa attenda a fare offesa
A’ Maganzesi, ucciderli e ferire.
Così ne van verso la casa rotta,
Dove i nemici ascosi erano in frotta.

110 L’altre donzelle e i due scudier restaro,
Ch’eran senz’arme, non troppo lontano:
Bradamante e Marfisa se n’andaro
Verso gli agguati, avendo in mezzo Gano.

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Tosto che dritto il loco si trovaro,
Saltò Marfisa con la lancia in mano
Dentro alla porta, e messe un alto grido,
Dicendo: — Traditor, tutti vi uccido. —

111 Come chi vespe o calabroni o pecchie
Per follía va a turbar nelle lor cave,
Se li sente per gli occhi e per l’orecchie
Armati di puntura aspera e grave;
Così fa il grido delle mura vecchie
Del rotto albergo uscir le genti prave,
Con un strepito d’armi e, da ogni parte,
Tanto rumor, che avría da temer Marte.

112 Marfisa, che dovunque apparía il caso
Più periglioso, divenía più ardita,
Con la lancia mandò quattro all’occaso,
Che trovò stretti insieme in sull’uscita;
E col tronco, ch’in man l’era rimaso,
Solo in tre colpi a tre tolse la vita.
Ma tornate ad udirmi un’altra volta
Quel che fe poi ch’ebbe la spada tolta.




Note

  1. Senza aver riguardo, senza rammentarsi. Poniamo questa poco necessaria spiegazione a giustificarci dall’aver tolto via la parentesi cominciata innanzi a queste parole e finita dopo abbietto, dai precedenti editori.
  2. Il Barotti: «De’ quali egli esser.»
  3. «La seta che serve a ordire.» Così, colla Crusca, il Barotti e gli altri annotatori. È da raccomandarsi alla Crusca stessa l’esempio.
  4. Metonimicamente, d’uno in altro corpo; traslato consimile al seguente «scorza.»
  5. Non può trarsene la certezza del nome Serraglia al femminile, potendo essere il plurale eteroclito di Serraglio. Vedi gli esempi addotti dalla Crusca.
  6. Esempio notabile.
  7. Usò questo verbo, e colla significazione medesima, l’autor nostro ancora nei Suppositi, atto II, sc. 4.
  8. Riponiamo qui noi primi questa parola, secondo l’intenzione del Barotti, non eseguita dal suo tipografo, che stampò pure cavaliero. La nota che il ferrarese illustratore avea fatta a questo luogo, è la seguente: «Cavallare, Corriere. Altre stampe hanno Cavaliere, nulla a proposito.» I raccoglitori di vocaboli ne acquisteranno la nuova desinenza Cavallare nelle veci di Cavallaro.
  9. Fôra per Fosse, pare a noi, con unico, e non imitabile, esempio.
  10. Lisbona. — (Molini.)
  11. Nè richiede cavaliere alcuno a far la battaglia proposta da Cardorano, se non quelli che approvi esso Gano.
  12. Così legge il Barotti, spiegando, come ognuno sa fare, Conficcargliela.
  13. Esempio da potersi aggiungere all’altro del Furioso, IX, 81.
  14. L’edizione del Molini, senza pro di chiarezza, ha: duro.
  15. Si raggira intorno a sè, a forma di ruota. Significazione non osservata.
  16. Partito per Fazione o Parte è creduta da taluni voce non buona. Oltre, però, agli esempi che se ne producono nel Vocabolario del Manuzzi, è qui osservabile la frase: Prendere il partito di alcuno; come nella st. 63, e colla costruzione medesima: Prendere la setta.
  17. L’aquila bianca, insegna di Ruggiero; e la nera, insegna imperiale. — (Barotti.)
  18. Antico nome dell’odierna Aix in Provenza.
  19. Il Barotti: «Che fuor che l’elmo e che lo scudo.»
  20. Cioè, vincendo le Amazzoni.
  21. Il Barotti, seguito anche dal Molini, così giustifica la preferita lezione: «Alcune edizioni hanno casa; ma cosa comprende qualunque riparo, come tugurio, grotta, albero frondoso; e non le sole case.»
  22. Baste per bastino; errore grammaticale, che l’Ariosto avrebbe certamente corretto, se avesse terminati e riveduti questi Canti. — (Molini.)
  23. Così le stampe; ma pare che dovrebbe leggersi: tutti.
  24. La risposta ch’egli recava. Significazione notabile.