Operette morali/Dialogo tra due bestie, p. e. un cavallo e un toro
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Giacomo Leopardi - Operette morali (1827)
Dialogo tra due bestie, p. e. un cavallo e un toro
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- Toro
- Che ossa son queste?
- Cavallo
- Io ho sentito dire spesso ai nostri vecchi ch’elle son ossa d’uomini.
- Toro
- Che vale a dir uomini?
- Cavallo
- Era una razza di animali che ora è perduta già da chi sa quanto tempo.
- Toro
- Come, è perduta una razza di animali?
- Cavallo
- Oh tanti altri animali si trovavano antichissimamente che ora non si conoscono altro che per l’ossa che se ne trovano, ecc. Discorso in grande sopra questa razza umana che finalmente si finge estinta, sopra le sue miserie, i suoi avvenimenti, la sua storia, la sua natura ecc. Non viveva già naturalmente, e come tutti gli altri, ma in mille modi loro propri. E perciò avevano questa particolarità curiosa che non potevano mai esser contenti né felici, cosa maravigliosa per le bestie che non hanno mai pensato ad essere scontenti della loro sorte.
- Toro
- Oh io non ho mai veduto un bue che fosse scontento d’essere un bue. Cagioni dell’infelicità umana, la vita non naturale, la scienza (e questa darà materia ne’ vari suoi rami a infinite considerazioni e ridicoli), le opinioni ecc. Credevano poi che il mondo fosse fatto per loro.
- Toro
- Oh questa sì ch’è bellissima! come se non fosse fatto per li tori.
- Cavallo
- Tu burli.
- Toro
- Come burlo?
- Cavallo
- Eh via, non sai ch’è fatto per li cavalli?
- Toro
- Tu pure hai la pazzia degli uomini?
- Cavallo
- Tu mi sembri il pazzo a dire che il mondo sia per li buoi, quando tutti sanno ch’è fatto per noi.
- Toro
- Anzi tutti sanno ecc. E vuoi vederlo? Per li buoi v’è luogo da per tutto e chi non è bue non fa fortuna in questo mondo.
- Cavallo
- Ben bene, lasciamo stare questi discorsi, e tu pensala come ti pare ch’io so quello che m’abbia a credere. Esercitavano un grande impero sugli altri animali, sopra noi sopra i buoi ecc. come fanno adesso le scimmie, che qualche volta ci saltano in dosso, e con qualche ramoscello ci frustano e ci costringono a portarle ecc. In somma questo Dialogo deve contenere un colpo d’occhio in grande filosofico e satirico sopra la razza umana considerata in natura, e come una delle razze animali, rendutasi curiosa per alcune singolarità, insinuare la felicità destinataci dalla natura in questo mondo come a tutti gli altri esseri, perduta da noi per esserci allontanati dalla natura, discorrere con quella maraviglia che dev’essere in chiunque si trovi nello stato naturale delle nostre passioni, dell’ambizione, del danaro, della guerra, del suicidio, delle stampe, della tirannia, della previdenza, delle scelleraggini, ecc. ecc.
- Toro
- Oh che matti, oh che matti. Lasciami cercare un po’ d’ombra che questo sole mi cuoce.
- Cavallo
- Vattene dove vuoi che io corro al fiume per bere. Si avverta di conservare l’impressione che deve produrre il discorrersi dell’uomo come razza già perduta e sparita dal mondo, e come di una rimembranza, dove consiste tutta l’originalità di questo dialogo, per non confonderlo con tanti altri componimenti satirici di questo genere dove si fa discorrere delle cose nostre o da forestieri, selvaggi ecc. o da bestie, in somma da esseri posti fuori della nostra sfera. Si potrebbe fare anche un altro Dialogo tra un moderno e l’ombra gigantesca (dico gigantesca perché gli uomini in natura erano certo assai più grandi e robusti del presente come si sa degli antichi Germani e Galli) di un qualcuno vissuto naturalmente e prima della civilizzazione e dipingere la sua continua maraviglia nel sentire dappoco dappoco il gran mangiamento e snaturamento delle cose umane.