Operette morali/Il Parini, ovvero Della Gloria/Capitolo quinto

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Il Parini, ovvero Della Gloria
Capitolo quinto

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Il Parini, ovvero Della Gloria
Capitolo quinto
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Ma ciò sia detto come per incidenza. Ora tornando in via, dico che gli scritti più vicini alla perfezione, hanno questa proprietà, che ordinariamente alla seconda lettura piacciono più che alla prima. Il contrario avviene in molti libri composti con arte e diligenza non più che mediocre, ma non privi però di un qual si sia pregio estrinseco ed apparente; i quali, riletti che sieno, cadono dall’opinione che l’uomo ne avea conceputo alla prima lettura. Ma letti gli uni e gli altri una volta sola, ingannano talora in modo anche i dotti ed esperti, che gli ottimi sono posposti ai mediocri. Ora hai a considerare che oggi, eziandio le persone dedite agli studi per instituto di vita, con molta difficoltà s’inducono a rileggere libri recenti, massime il cui genere abbia per suo proprio fine il diletto. La qual cosa non avveniva agli antichi; atteso la minor copia dei libri. Ma in questo tempo ricco delle scritture lasciateci di mano in mano da tanti secoli, in questo presente numero di nazioni letterate, in questa eccessiva copia di libri prodotti giornalmente da ciascheduna di esse, in tanto scambievole commercio fra tutte loro; oltre a ciò, in tanta moltitudine e varietà delle lingue scritte, antiche e moderne, in tanto numero ed ampiezza di scienze e dottrine di ogni maniera, e queste così strettamente connesse e collegate insieme, che lo studioso è necessitato a sforzarsi di abbracciarle tutte, secondo la sua possibilità; ben vedi che manca il tempo alle prime non che alle seconde letture. Però qualunque giudizio vien fatto dei libri nuovi una volta, difficilmente si muta. Aggiungi che per le stesse cause, anche nel primo leggere i detti libri, massime di genere ameno, pochissimi e rarissime volte pongono tanta attenzione e tanto studio, quanto è di bisogno a scoprire la faticosa perfezione, l’arte intima e le virtù modeste e recondite degli scritti. Di modo che in somma oggidì viene a essere peggiore la condizione dei libri perfetti, che dei mediocri; le bellezze o doti di una gran parte dei quali, vere o false, sono esposte agli occhi in maniera, che per piccole che sieno, facilmente si scorgono alla prima vista. E possiamo dire con verità, che oramai l’affaticarsi di scrivere perfettamente, è quasi inutile alla fama. Ma da altra parte, i libri composti, come sono quasi tutti i moderni, frettolosamente, e rimoti da qualunque perfezione; ancorché sieno celebrati per qualche tempo, non possono mancar di perire in breve: come si vede continuamente nell’effetto. Ben è vero che l’uso che oggi si fa dello scrivere è tanto, che eziandio molti scritti degnissimi di memoria, e venuti pure in grido, trasportati indi a poco, e avanti che abbiano potuto (per dir così) radicare la propria celebrità, dall’immenso fiume dei libri nuovi che vengono tutto giorno in luce, periscono senz’altra cagione, dando luogo ad altri, degni o indegni, che occupano la fama per breve spazio. Così, ad un tempo medesimo, una sola gloria è dato a noi di seguire, delle tante che furono proposte agli antichi; e quella stessa con molta più difficoltà si consegue oggi, che anticamente.

Soli in questo naufragio continuo e comune non meno degli scritti nobili che de’ plebei, soprannuotano i libri antichi; i quali per la fama già stabilita e corroborata dalla lunghezza dell’età, non solo si leggono ancora diligentemente, ma si rileggono e studiano. E nota che un libro moderno, eziandio se di perfezione fosse comparabile agli antichi, difficilmente o per nessun modo potrebbe, non dico possedere lo stesso grado di gloria, ma recare altrui tanta giocondità quanta dagli antichi si riceve: e questo per due cagioni. La prima si è, che egli non sarebbe letto con quell’accuratezza e sottilità che si usa negli scritti celebri da gran tempo, né tornato a leggere se non da pochissimi, né studiato da nessuno; perché non si studiano libri, che non sieno scientifici, insino a tanto che non sono divenuti antichi. L’altra si è, che la fama durevole e universale delle scritture, posto che a principio nascesse non da altra causa che dal merito loro proprio ed intrinseco, ciò non ostante, nata e cresciuta che sia, moltiplica in modo il loro pregio, che elle ne divengono assai più grate a leggere, che non furono per l’addietro; e talvolta la maggior parte del diletto che vi si prova, nasce semplicemente dalla stessa fama. Nel qual proposito mi tornano ora alla mente alcune avvertenze notabili di un filosofo francese; il quale 1 in sostanza, discorrendo intorno alle origini dei piaceri umani, dice così. Molte cause di godimento compone e crea l’animo stesso nostro a se proprio, massime collegando tra loro diverse cose». Perciò bene spesso avviene che quello che piacque una volta, piaccia similmente un’altra; solo per essere piaciuto innanzi; congiungendo noi coll’immagine del presente quella del passato. Per modo di esempio, una commediante piaciuta agli spettatori nella scena, piacerà verisimilmente ai medesimi anco nelle sue stanze; perocché sì del suono della sua voce, sì della sua recitazione, sì dell’essere stati presenti agli applausi riportati dalla donna, e in qualche modo eziandio del concetto di principessa aggiunto a quel proprio che le conviene, si comporrà quasi un misto di più cause, che produrranno un diletto solo. Certo la mente di ciascuno abbonda tutto giorno d’immagini e di considerazioni accessorie alle principali. Di qui nasce che le donne fornite di riputazione grande, e macchiate di qualche difetto piccolo, recano talvolta in onore esso difetto, dando causa agli altri di tenerlo in conto di leggiadria. E veramente il particolare amore che ponghiamo chi ad una chi ad altra donna, è fondato il più delle volte in sulle sole preoccupazioni che nascono in colei favore o dalla nobiltà del sangue, o dalle ricchezze, o dagli onori che le sono renduti o dalla stima che le è portata da certi; spesso eziandio dalla fama, vera o falsa, di bellezza o di grazia, e dallo stesso amore avutole prima o di presente da altre persone. E chi non sa che quasi tutti i piaceri vengono più dalla nostra immaginativa, che dalle proprie qualità delle cose piacevoli?

Le quali avvertenze quadrando ottimamente agli scritti non meno che alle altre cose, dico che se oggi uscisse alla luce un poema uguale o superiore di pregio intrinseco all’Iliade; letto anche attentissimamente da qualunque più perfetto giudice di cose poetiche, gli riuscirebbe assai meno grato e men dilettevole di quella; e per tanto gli resterebbe in molto minore estimazione: perché le virtù proprie del poema nuovo, non sarebbero aiutate dalla fama di ventisette secoli, né da mille memorie e mille rispetti, come sono le virtù dell’Iliade. Similmente dico, che chiunque leggesse accuratamente o la Gerusalemme o il Furioso, ignorando in tutto o in parte la loro celebrità; proverebbe nella lettura molto minor diletto, che gli altri non fanno. Laonde in fine, parlando generalmente, i primi lettori di ciascun’opera egregia, e i contemporanei di chi la scrisse, posto che ella ottenga poi fama nella posterità, sono quelli che in leggerla godono meno di tutti gli altri: il che risulta in grandissimo pregiudizio degli scrittori.

Note

  1. Montesquieu, Fragment sur le Goût; de la sensibilité.