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XXI.
CAFFÈ CONCERTO
Non più lo scherno di Prometeo suona
Superbo in faccia al Dio che lo percuote;
Non più sfregia i codardi in sulle gote
Il verso che flagella e non perdona:
Non più, terror di regi, Eschilo tuona
Dalla libera scena e il ferro scuote:
Dormono l’ossa del tragedo ignote
Lungi dal verde pian di Maratona,
Ma Taide mima, a saziar la fame,
Tenta le reni de’ moderni ciacchi
Levando il piede nella danza infame;
Ma noi giacciamo nauseati e stracchi
Senza un affetto in cor, sul reo letame
Di questa sozza età. Noi siam vigliacchi.