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D e l P a n n e g g i a m e n t o. | 415 |
za cingolo1. In oltre son rappresentate discinte le donne in uno stato di somma afflizione, principalmente per la morte de’ loro più cari e stretti parenti2: cosi Seneca introduce sulla scena le Trojane piagnenti il morto Ettore colla veste discinta3; e in un basso-rilievo della villa Borghese Andromaca con altre donne in abito discinto e collo strascico riceve alle porte della città di Troja il cadavere del suo sposo4. Così pur si usò a Roma in alcuni casi, e in abito discinto i romani cavalieri accompagnarono il corpo d’Augusto sino alla tomba5.
[Manto ...] §. 23. Siegue in terzo luogo il manto o pallio. I Greci chiamaronlo πέπλος, voce che propriamente signifìcò da principio il manto di Pallade, indi si applicò a quello degli altri dei6, e degli uomini78. Questo manto non era quadrangolare, qual se l’è immaginato Salmasio, ma era tagliato rotondo, come lo sono i nostri mantelli: tal forma dovettero aver pure i manti o pallj virili. So che così non sentono coloro, che hanno scritto del vestire degli antichi; ma essi
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- ↑ Anthol. lib. 4. cap. 24.
- ↑ Facendo l’opposto degli Egiziani, che in occasione di funerali andavano cinti uomini, e donne, come notò Erodoto lib. 2. c. 85. pag. 182.
- ↑ Troad. verf. 83.
- ↑ Monum. ant. ined. num. 135.
- ↑ Suet. Aug. cap. 100.
- ↑ Non. Dionys. lib. 2. v. 571. p. 75. n. 30.
- ↑ Æschil. Pers. vers. 199. 468. 1035., Sophocl. Trachin. v. 609. 684., Eurip. Heracl. v. 49. 131. 604., Helen. v. 430. 573. 1556. 1645., Jon. vers. 326., Herc. fur. vers. 333.
- ↑ Non si può dire con tanta sicurezza, che il peplo sia lo stesso del pallio, avendo scritto gli antichi di esso in maniera troppo equivoca. Si veda Polluce lib. 7. c. 13. segm. 50., il Pitisco Lex. Antiq. Rom. V. Peplus, Faes ad Greg. Gyrald. de Var. sepel. ritu, cap. 1., il signor Lens Le Costume, ec. liv. 2. chap. 1. pag. 36., e il signor abate Visconti Museo Pio-Clement. Tav. 16. pag. 31. not. c.
cademici. All’opposto la spiegazione, che dà Winkelmann, non può quadrarvi; giacchè Arpocrazione nel suo lessico, ove più diffusamente che Suida suo compendiatore spiega chi fossero i Δειπνοφόροι dice colle parole d’Iperide nell’orazione contro Demade, che così si chiamavano quelle donne, che le madri mandavano a portare la cena ai loro figliuoli, che stavano nel tempio di Pallade. Ora le figure in questione non hanno tale idea nè al volto, nè alle vesti, ed altri ornamenti, o alla mossa, nè al detto contesto delle altre figure; e molto meno pare abbiano relazione al tempio di Pallade le altre pitture, che le accompagnavano dipinte nella medesima stanza; cioè, come riferiscono i lodati Accademici alla Tav. 17. pag. 93., sei fasce di arabeschi con un Cupido in mezzo, e sette ballarini, che danzano sulla corda: e i soli tre fichi, che porta una donzella, non mostrano di servire per una cena.
In genere di figure discinte sono da osservarsi le sette figure di Dapiferi nelle pitture trovate vicino all’ospedale di S.Giovanni in Laterano, delle quali abbiamo dato cenno nelle note all’Elogio di Winkelmann pag. lxxix.; ma più diffusamente ne riparleremo nel Tomo iI. libro VII. capo iiI. §. 10.