Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/253

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atto terzo 245

          ch’io son per ubbidirti.
          Artemona  Vederemo
          quel che si potrá far. Forse domane
          io le riparlerò. Fa’ d’esser savio,
          in dar parole, e non lasciar ridurti
          piú lá di quel ch’io ti terrò ammonito:
          che Amore è cieco e vuol con gli occhi d’altri
          esser guidato e dal senno d’altrui
          aver governo; onde ’l fingiam fanciullo
          e nudo perché è cosa naturale,
          non trovata da noi, e alato e lieve
          perché ’l suo star non dura mai gran tempo.

SCENA IV

Filocrate, ritornato di fuori, vien per veder Lucia. E, avendolo visto Fronesia da la fenestra, li va in contra, e falli un altro tradimento improviso con il quale ingannò ancora Lucia. Per questo poi Filocrate, la sera, impazzisce.

Filocrate, Fronesia, Lucia.


          Filocrate  Vivace Amor, che negli affanni cresci,
          che dolci lacci e quai catene d’oro
          son quelle con che i tuoi suggetti alleghi?
          con quai fiamme gli accendi? e di quai pene
          dolcemente gli affliggi? e con quai punte
          gli sproni e muovi? e come, in mezzo al corso,
          gli affreni e stringi? Quel non sente affanni,
          doglie, travagli, vigilie o fatiche
          che a te non serve. Non gusta dolcezza
          sovr’ogni altra dolcezza o beatitudine
          chi ’l tuo mal non soffrisce. Prima l’alma
          lascerá queste travagliate membra
          ch’io possa mai (per gran ragion ch’io n’abbia)
          di te dimenticarmi e non mai sempre
          esserti servo.