Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/137

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atto primo 129


Prudenzio. Tanto magnassi mai tu! Ma so che tutte le opere mie me succedono oggi extra votum.

Malfatto. Patrone, bon di. Io voglio andar a mieto.

Prudenzio. Va’, che te fragni le crure! Chi demone me ha posta questa bestiola dinanzi? che nihil prodest, idest che non giova el monirlo né di gastigarlo; immo, de male in peius. Ma suo danno, quia sibi luditur.

SCENA III

Ceca, Minio, Iulia, Livia.

Ceca. Oh che l’è da bene! oh che l’è la buona giovane, quella madonna Fulvia! Per certo che, ora ch’io ho inteso el tutto, li ho quella compassione che alle povere bisognose e vedove aver si deve. Grande infelicitá l’è certo la sua, che né vedova né maritata se gli può dire; ma molto... Domino! Esce di casa piangendo Minio; e madonna è sulla porta.

Minio. Eh! mamma mia, perdonateme.

Iulia. Vien qui, giottoncello! Piglialo, Ceca.

Ceca. Che cosa hai tu fatto?

Minio. Eh Dio! aiutarne, Ceca mia.

Iulia. Menalo qui da me; piglialo pei capegli.

Minio. Eh Dio mio!

Ceca. Vieni; non dubitare: che non ti fará male, no.

Iulia. Giottone, ti credevi fugire, ch? E dove volevi andare, ch’io non ti trovassi?

Minio. Oimè! perdonatemi, mamma mia.

Ceca. Madonna, non piú, di grazia. Vanne dentro tu.

Minio. Oimè! Oimè!

Iulia. Aspetta pur, che queste non son nulla a rispetto di quelle che io ti darò. Vanne pur lá.

Ceca. Che cosa ve ha egli fatto?

Iulia. Ma non si curi, quel pedante tristo, sciagurato!...

Ceca. E chi, madonna? el maestro?

Iulia. El maestro, si.

Commedie del Cinquecento -1. 9