Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/27

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atto primo 19


Lidio. Ah! ah! ah! Io sono per morir delle risa. Ma dimmi: credendo esso che io sia femina, e maschio essendo, quando esso fia da me, come anderá la cosa?

Fessenio. Lassa pur questa cura a me, che tutto ben si condurrá. Ma oh! oh! oh! Vedilo lá. Va’ via, che teco non mi veda.

SCENA IV

Calandro, Fessenio servo.

Calandro. Fessenio!

Fessenio. Chi mi chiama? Oh padrone!

Calandro. Or be’, dimmi: che è di Santilla mia?

Fessenio. Di’ tu quel che è di Santilla?

Calandro. Si.

Fessenio. Non lo so bene. Pur io credo che di Santilla sia quella veste, la camicia che l’ha indosso, el grembiule, i guanti e le pianelle ancora.

Calandro. Che pianelle? che guanti? Imbriaco! Ti domandai, non di quello che è suo, ma come la stava.

Fessenio. Ah! ah! ah! Come la stava vuoi saper tu?

Calandro. Messer si.

Fessenio. Quando poco fa la vidi, ella stava... aspetta! a sedere con la mano al volto; e, parlando io di te, intenta ascoltandomi, teneva gli occhi e la bocca aperta, con un poco di quella sua linguetta fuora, cosi.

Calandro. Tu m’hai risposto tanto a proposito quanto voglio. Ma lassiamo ire. Donque l’ascolta volentieri, ch?

Fessenio. Come «ascolta»? Io l’ho giá acconcia in modo che fra poche ore tu arai lo attento tuo. Vuoi altro?

Calandro. Fessenio mio, buon per te.

Fessenio. Cosi spero.

Calandro. Certo. Fessenio, aiutami; ch’io sto male.

Fessenio. Oimè, padrone! Hai la febbre? Mostra.

Calandro. No. Oh! oh! Che febbre? Bufalo! Dico che Santilla m’ha concio male.