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348 gl’ingannati


SCENA VII

Flamminio e Lelia da ragazzo.

Flamminio. È possibil, però, ch’io sia tanto fuor di me e mi stimi si poco ch’io voglia amare a suo dispetto costei e servir chi mi strazia, chi non fa conto di me, chi non mi vuol pur compiacer sol d’uno sguardo? Sarò io si da poco e si vile ch’io non mi sappi levar questa vergogna e questo strazio da dosso? Ma ecco Fabio. Or ben, che hai fatto?

Lelia. Nulla.

Flamminio. Perché sei stato tanto a tornare? Tu vorrai diventar un forca, si?

Lelia. Io ho indugiato perch’io volevo pur parlare a Isabella.

Flamminio. E perché non gli hai parlato?

Lelia. Non mi ha voluto ascoltare. E, se voi facesse a mio modo, pigliaresti altro partito e vi risolvaresti de’ casi vostri: che, per quel ch’io n’ho potuto comprendere insino a qui, voi vi perdete il tempo; che la si mostra ostinatissima a non voler far mai cosa che vi piaccia.

Flamminio. E, se ’l dicesse Iddio, l’ha pure il torto. Non sai che, or ora, passando di lá, si levò subito, come la mi vidde, dalla finestra con tanto sdegno e con tanta furia come s’ell’avesse visto qualche cosa orribile o spaventosa?

Lelia. Lasciatela andar, vi dico. È possibil che, in tutta questa cittá, non sia un’altra che meriti l’amor vostro quanto lei? Non vi è piaciuta mai altra donna che lei?

Flamminio. Cosí non fusse! ch’io ho paura che questo non sia la cagion di tutto ’l mio male: perché io amai giá molto flj caldamente quella Lelia di Virginio Bellenzini di ch’i’ ti parlai; e ho paura ch’Isabella non dubiti che questo amor duri ancora e, per questo, non mi voglia vedere. Ma io gli farò intendere ch’io non l’amo piú; anzi, l’ho in odio e non la posso sentir ricordare. E gli farò ogni fede ch’ella vorrá di non arrivar mai dove lei sia. E voglio che glie lo dica tu, a ogni modo.