Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/393

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atto quarto 385


Virginio. Di che cosa ti lamenti di me, Gherardo? che t’ho io fatto? Io non cercai mai di far parentado teco. Tu me n’hai rotto il capo uno anno. Ora, se non ti piace, non vada i avanti.

Gherardo. Anco hai ardimento di rispondere, come s’io fusse un beccone? Traditoraccio, giontatore, barro, mariuolo! Ma il governatore saprá ogni cosa.

Virginio. Gherardo, coteste parole non pertengono a un par tuo e massimamente con me.

Gherardo. Anco non vuol ch’io mi lamenti, questo tristo! Sei diventato superbo perché hai ritrovato tuo figliuolo, ch?

Virginio. Tristo se’ tu.

Gherardo. Oh Dio! Perché non son giovine com’io era? ch’io ne farei pezzi, del fatto tuo.

Virginio. Puossi intender quel che tu vuoi dire o no?

Gherardo. Sfacciato!

Virginio. Io ho troppo pazienzia.

Gherardo. Ladro!

Virginio. Falsario!

Gherardo. Menti per la gola. Aspetta!

Virginio. Aspetto.

Pedante. Ah gentiluomo! Che pazzia è questa?

Gherardo. Non mi tenete.

Pedante. E voi, messer, mettetevi la veste.

Virginio. Con chi si pensa avere a fare? Rendemi la mia j figliuola.

Gherardo. Scannarò te e lei.

Pedante. Che cosa ha da far questo gentiluomo con esso voi Virginio. Non so, io; se non che, poco fa, gli messi Lelia mia figliuola in casa, che la voleva per moglie. Ora voi vedete. E temo non gli facci dispiacere.

Pedante. Ah, ah, gentiluomo! Non si vuole con l’arme! Con l’arme?

Gherardo. Lasciatemi!

Pedante. Che differenzia è la vostra?