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atto quinto 397


Fabrizio. Altri sono stati oggi che m’hanno còlto in iscambio:

tanto ch’io dubitavo quasi che l’oste non m’avesse scambiato.

Isabella. Ecco Clemenzia, la vostra balia, che vi debbe venire a far motto.

Clemenzia. Non può esser che non sia questo, che par tutto Lelia. O Fabrizio, figliuol mio, che tu sia il ben tornato: che è di te?

Fabrizio. Bene, balia mia cara. Che è di Lelia?

Clemenzia. Bene, bene. Ma entriamo in casa, che ho da parlare a longo con tutti voi.

SCENA VII

Virginio e Clemenzia.

Virginio. Io ho tanta allegrezza d’aver trovato mio figliuolo ch’io son contento d’ogni cosa.

Clemenzia. Tutta è stata volontá di Dio. È stato pur meglio cosi che averla maritata a quel canna-vana di Gherardo. Ma lasciatemi intrar drento, ch’io vegga come la cosa sta: ch’io lasciai gli sposi molto stretti; e son soli. Venite, venite. Ogni cosa va bene.

SCENA VIII

Stragualcia a li spettatori.

Spettatori, non aspettate che costoro eschin piú fuore perché, di longa, faremmo la favola longhissima. Se volete venire a cena con esso noi, v’aspetto al «Matto». E portate denari, perché non v’è chi espedisca gratis. Ma, se non volete venire (che mi par di no), restativi e godete. E voi, Intronati, fate segno d’allegrezza.

fine del volume primo.