Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/48

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ATTO III

SCENA I

Fessenio servo solo.

Ecco, o spettatori, le spoglie amorose. Chi cerca che se gli apicchi gentilezza, acume, accorgimento queste veste compri ed alquanto indosso le porti: perché di quel vago Calandro sono, tanto astuto che, d’un giovane innamorato, si crede che fanciulla sia; di quel che ha tanto della divinitá che muore e risuscita posta sua. Chi comprar le vuole dinari porga; che io, come cose d’omo giá passato di questa vita, vendere le posso. Prima si messe da morto nel forziero che arrivato fusse. Ah! ah! ah! Cosi Lidio galantemente da donna vestito aspetta con allegrezza questo vezzoso amante che, a dire il vero, è piú schifo che Bramante. Io son corso inanzi perché qua mi trovi la scanfarda che io ho ordinato per questo conto. Ed eccola che^^rie ne viene. E vedi anco lá, col forzieri, el facchino; el quale^p pensa portare preziosa mercanzia e non sa che ella è la piú vile che in questa terra sia. Nessuno vuol le veste? no? Addio, dunque, spettatori. Andrò a congiungere il castron con la troia. Restate in pace.

SCENA II

Meretrice, Fessenio, Facchino,

Sbirri di dogana, Calandro.

Meretrice. Eccomi, Fessenio. Andianne.

Fessenio. Lassa andare innanzi questo forziero nostro. Non di lá, no, facchino. Va’ pur dritto.

Meretrice. Che vi è drento?