Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. I, Laterza, 1912.djvu/95

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prologo 87

non si accorgeno che pute loro el fiato o che han gli occhi guasti e di continuo gli colano e, quando sputono, fan certe gongole che verrebbono a schifo ai frati e sempre hanno uno starnuto e una corregia in ordine. Ed elle son savie a fu girli: altretanto ne farei io. Si che, per questo, ve ho ditto ch’ella è nova, per ciò che tutte le cose nove piacciono e dilettono ad ognuno. State, adunque, cheti ; e avvertite a non far cosa per la qual io ne abbi da far chiavare qualcuno di voi, a mal modo, in una pregione. La comedia si chiama El pedante, quale è persona che, con le lettere in mano, defenderà le ragioni sue. Né avete da pigliarve fastidio perché ella sia volgare, essendosi fatto a buon fine e per compiacer ai più. Ma, se l’auttore avessi pensato che, per farla J latina, vi fosse stata più accetta, egli si sarebbe ingegnato, se non in tutto, almeno in parte, di contentarvi; e, se pur egli a ciò non fossi stato buono, si arebbe fatto aitare dal suo pedante. E, se i latini non fossino stati tali quali le Signorie Vostre avessino meritato, sarebbero stati almeno come sonno quelli de questi affumati procuratori che parlono peggio de un todesco quando si sforza de parlar italiano: che ’1 maggior piacere che potessino avere sarebbe che si abrusciassi e Diomede e Prisciano co* quali di continuo stanno in briga; e, pur che li venghi ben fatto, non si tengono a conscienzia, sotto le paci e le pigierie, rompergli el capo e farli el peggio che possono. Questa città è Roma. So che tutti la cognoscete. E, perché questi recitanti han ditto a questi musici che sonnino, io me nne andarò. E voi state cheti.