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94 l’amor costante

tanto retenimento en sé, la poverella, che non me se iettasse con le braccia allo collo recomannannose.

Panzana. Oh che caso freddo!

Messer Ligdonio. E ve iuro, per questa brachetta, che nei è moneta, che, in un’ora che stiete con essa, me strense tanto, me zucao tanto, me basao tanto e mozzicao cussi stermenatamente che me stieti doi miesi a lo lietto.

Panzana. Ah! ah! ah! ah! ah!

Roberto. Cotesta fu gran cosa.

Messer Ligdonio. Fo certo come ve dico. E de tutto ne fo la prima causa lo saper io bene componere. E le rime dotte hanno gran forza nell’amore, e lo maior pensiere che hanno quisse donne de nui uomini è lo parlare; che quel fatto, en fine, è cosa da asini. E ve pozzo iurare che, quanno me parti ve da Napoli, giá parecchi anni songo, chiú de dociento gentildonne piansero a selluzzo dello partir mio.

Panzana. Ah! ah! ah! ah! Vo’ ridere, dica ciò che vuole.

Roberto. Domane, s’io non mi parto, vi vo’ contare un caso che m’intervenne a Siena: benché non ebbe effetto; che quelle donne di Siena non sono se non parole che non empior., el corpo e scorgerebbeno el paradiso.

Messer Ligdonio. Intenno che a Siena ce songo escellentissime donne e multo belle.

Roberto. Assai piú che voi non dite; e tutte son dottorate. So che a parlar con esse bisogna andare avertito, se altri non vuol rimanere uno uccello. Carezze, in vero, fanno assaissime; ma, quando che altri crede averle in gabbia, son piú discosto che mai.

Panzana. Un crocione, che gli ha pur detto ben di qualcuno.

Roberto. Io ci stei, un tratto, quattro mesi. Ed èvvi una bellissima stanza, molti gentili spiriti, dottissime accademie e, fra l’altre, l’accademia dell’Intronati ripiena di bellissimi ingegni.

E, sopra tutto, vi sono divinissime donne che, se non avessero el difetto ch’io v’ho detto, beato a chi vi stesse!

Messer Ligdonio. Non l’antienneno bene quisse femene.

E, s’io credesse ca me sentiessero da qua da Pisa, farria quisso