Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/107

Da Wikisource.

atto quarto 95

bono officio de dirle che s’aviluppano e che besogna, avendo le bellezze, adoperarle. Ma non boglio stare a gridare invano e affocarme.

Roberto. Lassarò la Signoria Vostra. Vo’ veder s’io posso aver ventura nessuna inanzi che sia stasera.

Messer Ligdonio. Como è lo vostro nome?

Roberto. Roberto.

Messer Ligdonio. Segnor Roberto, la Signoria Vostra se recorda de comannarme.

Roberto. Bacio le mani della Signoria Vostra.

Messer Ligdonio. Ve songo servitore.

SCENA IX

Messer Ligdonio, Panzana.

Messer Ligdonio. Sai molto bene, Panzana, quante volte t’ho detto ca non rida quanno io so’ en compagnia de nesciuno.

Panzana. Non risi, io.

Messer Ligdonio. E io so ca ridiste.

Panzana. Ed io so che no. Domandatene. Risi? risi? risi? Se voi trovate nessuno che vi dica niente voglio avere el torto.

Messer Ligdonio. Pò essere; no saccio. A me parve cussi.

Panzana. Non dubitate: ho giá imparato a viver benissimo.

Messer Ligdonio. Galante gentiluomo è chisto messer Roberto. Panzana, m’ha ennamorato.

Panzana. Non ho inteso di quel che aviate parlato.

Messer Ligdonio. E che hai fatto?

Panzana. Guardavo che i due passi tra voi e me fosser giusti.

Messer Ligdonio. Ah! ah! ah! Sei fatto molto diligente, da poco in qua. Ma sera forse passata l’ora del veder quella donna ca te disse.

Panzana. Ora sará a ponto il tempo.

Messer Ligdonio. Annamo. No tardamo chiú.