Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/117

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atto quinto 105

Messer Consalvo. Perché, a dirvi il vero, somigliate tanto un mio fratello, che giá molt’anni non ho visto, che mi parete proprio esso.

Guglielmo. Oh messer Consalvo! fratello! La collora non mi vi lassava riconoscere. Che gran ventura v’ha qui condotto?

Messer Consalvo. Eh! fratel caro, quanto volontier vi riveggio! che giá m’ero disperato che voi foste piú vivo.

Messer Giannino. Che voglian dir cotesti abbracciamenti? qual messer Consalvo sará costui? Voglio un poco intender questa cosa. Oh Dio! Tu sai! Ditemi, gentiluomo, per cortesia: qual messer Consalvo séte voi?

Messer Consalvo. Perché?

Messer Giannino. Per bene. Ditemelo, di grazia.

Messer Consalvo. Questa è poca cosa. Mi domando messer Consalvo Molendini, castigliano, al piacer vostro.

Messer Giannino. Oh Dio! E che parentado avete con questo vecchio, che avete fatti questi abbracciamenti?

Messer Consalvo. Sono molti anni che non l’ho piú visto; ed è mio fratello.

Messer Giannino. Questo è Pedrantonio? Tien qui, Vergilio, quest’armi. Oh padre e zio, tanto da me desiderati! Io son il vostro Ioandoro. Guglielmo, Ioandoro sei tu? Oh figliuol mio! figliuol mio! quanto mi godo d’abbracciarti e baciarti!

Messer Giannino. Oh zio caro!

Messer Consalvo. Nipote dolcissimo, quanta ventura è stata oggi la nostra!

Guglielmo. Le vinsi, le vinsi, Lattanzio, compare, le vinsi via quest’armi; che finita è la guerra.

Capitano. Esto es Pedrantonio? Muy gozo, por Dios! Vos forse no me conoceis? Io soy Francisco de Marrada.

Guglielmo. Ora vi riconosco, che mai piú in Pisa v’ho riconosciuto; e n’ho piacere assai. Ma fate, vi prego, portar via l’armi; ch’io voglio che si facci la pace fra tutti.

Capitano. Veneis, seiíores, á posar las armas en la casa; y despues usciremos tambien ad hazer segno de paz allegramente.