Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/151

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atto primo 139


Lucido. Forse che ei parla o pensa mai ad altro?

Erminio. Ma quello che piú m’affligge è che io mi dubito che, per il gran dolor della vergogna, la non si faccia qualche male. Oh Dio! Tu solo puoi fare che la lo facci secretamente I e che, ad un tratto, la non vituperi sé e me ed il monasterio.

Lucido. Dio non ha altra faccenda che far la guardadonna alla Fiammetta!

Erminio. Almanco non li volessi io tanto bene! E, pur quando io potessi non gne ne volere, gne ne vorrei in ogni modo. Quel di ch’io non ho nuove di lei vivere non posso. Ed ancora Lucido non torna; ed è dua ore che io lo mandai.

Lucido. Quanto piú sto peggio è; che le bugie, o ora o poi, gli ho a dire. Buon di, patrone.

Erminio. Tu mi tratti sempre a questo modo. Quell’imbasciate che tu sai che io desidero saper prima che l’altre tu indugi a farmele sapere piú che tutte l’altre.

Lucido. Voi sapete come le son fatte. Innanzi che le comparischino alla ruota e che l’abbin finita la risposta, gli è sera. Di poi, vostro padre, Tiberio e ’l Ruffo, al tornare, m’hanno tenuto qui a bada tre ore.

Erminio. Tuttavia hai ragione tu e io el torto. Ma indugia un po’ piú a dirmi come la sta!

Lucido. I’ ve lo farò dir a Tiberio, quanto noi siamo stati a combatter col Ruffo.

Erminio. Dimmi, in malora, come la sta.

Lucido. E che! A un modo.

Erminio. Non t’ha ella detto che tu mi dica qualche cosa?

Lucido. Si raccomanda a voi.

Erminio. E non altro?

Lucido. Non altro.

Erminio. Come sta ella di mala voglia?

Lucido. El solito.

Erminio. Queste son molto asciutte risposte.

Lucido. I’ ve le do come l’ha date a me.

Erminio. Disset’ella che io l’andassi a vedere?

Lucido. La non m’ha detto altro.