Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/22

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10 l’amor costante


Messer Giannino. Per che causa? Perché è da persone ingrate non riconoscere i benefici ricevuti; né maggior beneficio si può fare che amar con quella fede che fo io.

Vergilio. Qual fu mai la maggior fede e ’l maggiore amore di quel che porta a voi Margarita figlia di maestro Guicciardo? Nondimeno, non solo non ve ne vien pietá, ma dite villania a chi vi parla per parte sua.

Messer Giannino. Innanzi che questa Margarita s’accendesse dei casi mei, avevo io si interamente dedicato l’animo a Lucrezia che parte non me n’è rimasto per altra donna.

Vergilio. Che sapete voi se Lucrezia, innanzi che voi l’amasse, aveva ancor ella posti i suoi pensieri altrove e in persona che piú forse l’amava che voi non fate?

Messer Giannino. Dio ’l volesse, Vergilio, che l’amor mio avesse a stare a parangone con quel di tutti gli altri che l’amano e che avesse ad esser riconosciuto il piú perfetto! ch’io non dubiterei punto.

Vergilio. Lassiam andar queste cose. Io non son per mancar, padrone, di non far sempre, intorno a quel che mi comandarete, tutto quel buono ufficio ch’io saprò; e di ciò statene sicurissimo. Ma vi vo’ prima pregar, come buon servidore, mi diate licenzia ch’io vi dica sopra questa cosa liberamente il parer mio.

Messer Giannino. Io so quel che tu mi vuoi dire, che me l’hai detto piú volte; ma tu ti perdi el tempo, ch’io ho acconcio l’orecchie a non volere intender d’altro che di Lucrezia.

Vergilio. Gli è vero. Ma, questa volta, ho animo di parlarvene un poco piú largamente; che voglio che sia l’ultima volta ch’io ve ne parli.

Messer Giannino. Di’.

Vergilio. Quand’io penso, messer Giannino, quanto, dal primo giorno che poneste il pie fuor di casa vostra (che Pedrantonio vostro padre vi mandò, con esso me insieme, di sette anni, in Roma, a provar la corte), vi sia stata favorevole la fortuna, e massime appresso papa Clemente, non posso non dolermi assaissimo che voi cosí vilmente, alla tornata di Marsilia,