Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/261

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atto terzo 249


Spagnuolo. Oh! benissimo! Stanimi in cervello.

Ciacco. ... in casa la buona femina che io ho appostata. E tornarò dipoi, solo, al vecchio; il quale prima che io tiri da casa, mi conviene levarne il famiglio, acciò che, restando Camilla con la fante, non sia chi la impedisca a venire a voi nell’abito che, come io a punto voleva, le ho fatto venire in mano.

Spagnuolo. La madre se ne potrá forse accorgere.

Ciacco. La madre è inferma; e, se fosse sana, s’attenderebbe che ella se ne andasse al letto.

Spagnuolo. La fante le vieterá ella il venire?

Ciacco. È ben cosa, cotesta, da considerarsi ora! Non avete voi potuto comprender, per le parole che io vi dissi prima, che la fante è del medesimo voler che sono io e la giovane? Mercé che io l’ho strangolata col metallo di san Giovanni Boccadoro.

Spagnuolo. Perché non strangolavi anche il famiglio? che aresti avuto i denari da me.

Ciacco. Egli è troppo da bene. Non lo strangolarebbe quanto oro ha il soffi.

Spagnuolo. È da piú degli altri, costui?

Ciacco. È nato e cresciuto in quella casa.

Spagnuolo. Se è cosí fedele, non lo pagarebbe il tesoro di messer San Marco.

Ciacco. Cosí è.

Spagnuolo. Or va’ a fornir l’opera, che io m’asconderò in modo che non sará chi mi vegga insino all’ora predetta.

Ciacco. Non vi scostate troppo, intendete?

Spagnuolo. Scostarmi io? Ora, Giacchetto, sappi esserci.

Giacchetto. Chiamatemi Livia, se volete.

Ciacco. Benissimo. Siami pure accorto, tesoro mio.

Giacchetto. Vogliamo andarci?

Ciacco. Camina avanti, che io ti verrò dietro.