Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/27

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spagnuolo e prologo 15


Panzana. Come se ci fusse gran pericolo coi casi vostri!

Messer Ligdonio. Senza ch’io te porria risponnere ca tu trovarisse poche che fossero chiú patroni della persona soa che son io della mea; che, se leisse l’Epistole d’Ovidio e la Bucolica, trovarisse infiniti che se sono ancisi issi stissi per amore. E io, tutto lo contrario, tanto m’enamoro quanto voglio; non me lasso metter legge a femmene. Se issa mi fa bona cera, m’enamoro; se me la fa trista, la lasso e trovone un’autra che me la faccia bona. E cosí non aggio mai se non piacer de l’amore, lassando li selluzze e li sospiri a chi li vòle. Che te ne pare? Tu ti chiudi la bocca. Che vuoi dicere?

Panzana. Scoppio di voglia di ridere; e, per rispetto de’ forestieri, tengo la bocca, ché non rida.

Messer Ligdonio. E dove son li forestiere?

Panzana. Eccone qua tanti.

Messer Ligdonio. De chesti non importa. Ride pure. Isse sono a Siena e noi siamo a Pisa.

Panzana. Ah! ah! ah! ah! ah!

Messer Ligdonio. De che diavolo ride, de che?

Panzana. Della vostra sapienzia, che v’innamorate delle donne a vostro vantaggio. In fine, e’ bisogna praticare con chi ha studiato, a volere diventar savio.

Messer Ligdonio. Si; ma se conosce male ca pratiche in casa mea, che ogni giorno ne sai manco. Ma fa’ che non t’intervenga chiú com’a sera. Mò te lo dico per sempre. Quanno me vedi infra la gente, sforzati de star remisso e non parlare, se non te parlo; non ridere, non responnere, se non te chiamo; e sta’ che sempre para ch’abbi paura de’ fatti miei. Quanno po’ sarimmo infra nuie, pazzeia, burla, baciami e fa’ chello che vuoi, ca non me ne curo.

Panzana. Ah! ah! ah! Questo non farò io.

Messer Ligdonio. Perché?

Panzana. Come «perché»? S’io vi baciasse e che lo sapesse la vostra innamorata, mi farebbe amazzar vivo vivo. Baciarvi? Non mi ci cogliete.