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268 il ragazzo

e, credendo di servirsi dell’opera mia, m’ha fatto di gran promesse e, quel che è piú, trattosi questo rubino di dito, egli il mi diede con dire che io lo recassi a Livia in segno d’amore.

Ciacco. Mostrai Non te l’avea veduto prima. Parmi molto bello. Sapea bene io che io m’arei la fatica e altri l’utile.

Giacchetto. Tu non parli ora dei giuli e delle altre monete ch’egli ti diede avanti che ti partissi.

Ciacco. Questo importa altro che giuli. In fine, tu hai roversciata la ruina sopra le spalle di me.

Giacchetto. Anzi, io t’ho levato il peso; che gli ho dato a intendere che ne sei stato ingannato ancor tu.

Ciacco. Basta. Come si sia ita la cosa, la novella è bella.

Giacchetto. Ora, a trovare il padrone.

Ciacco. Per Dio, che io mi voglio corrucciar teco da do vero, che, con queste tue fole, arai operato tanto che il vecchio non mi terrá piú in buon conto; e cosí l’utile, che io ne traeva, tutto, per tua cagione, m’uscirá di mano.

Giacchetto. Corrucciati a tua posta. Che ho io a fare ora di te?

SCENA II

Valerio, Belcolore fante della madre di Livia.

Valerio. Tanta è la passione che io prendo del nuovo infortunio del mio padrone, per la fuggita della figliuola, che io non vorrei esser nato. Ben lo consigliava, io, ben gli prediceva tuttodí che gli verrebbe, un giorno, a dosso qualche gran danno e qualche gran vergogna; ma egli non m’ha voluto mai prestar fede. Ora conoscerá quanto gli arebbono giovato le mie parole, se egli non se ne avesse fatto beffe. Ora s’avederá che frutto gli ara partorito il suo amore. Ma come arei io mai potuto credere, se io non l’avessi veduto prima con questi occhi, che Camilla fosse stata tanto animosa e che ella avesse avuto cosí poco rispetto al suo onore? Oimè! Che si dirá per Roma, quando si saprá che la figliuola del tale gentiluomo sia fuggita con un spagnuolo, che Dio sa quello che egli è, in casa del cardinale?