Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/319

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atto primo 307

          Fazio.  Io non ho lettere
          di poi: se non che ’l procaccia, che ultimamente
          venne, m’afferma quello essere
          di tre giorni partito, la domenica
          che ei montò a cavallo; ond’ora esserci
          do verrebbe.
          Noferi.  Gli è ver. Ma di che dubiti,
          in questa cosa?
          Fazio.  Dice «di che dubiti»!
          Di quel che è da dubitar: non perdere
          i mie’ danar.
          Noferi.  Vo* dir, dove va l’animo
          tuo; quel che ne pensi.
          Fazio.  Le disgrazie
          son sempre apparechiate; e poi il comodo
          fa spesso l’uomo ladro.
          Noferi.  Oh! Quest’intendere
          volea da te: se del giovane dubiti.
          Fazio.  D’ogni cosa tem’io.
          Noferi.  Mi maraviglio
          de’ fatti tuoi, che, se d’un non ti fidi,
          gli dia faccenda tale. Ti mancavano
          uomini da mandar?
          Fazio.  Ci è ben dovizia
          d’uomini, si; ma, de’ fedel, pochissimi
          ci sono.
          Noferi.  Come non ti venne in animo
          mandare il tuo figliuol?
          Fazio.  Gli è troppo giovane;
          e non si debbe a un fanciullo credere
          si grossa somma, pe’ casi che nascere
          posson sempre. Che ne so io?
          Noferi.  Piacemi
          il tuo discorso. Ma questo tuo giovane
          quant’è che ti fu in casa?
          Fazio.  Oh! È giá un numero
          di dodici anni.