Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/341

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atto secondo 329

          Ruffoli. Oh! Gli ha la sporta. Questo è il solito
          suo: far di suo’ mano; e parli essere
          savio assai piú che gli altri. Ma lasciamolo
          andare; ed io seguirò mio viaggio.

SCENA II

Cambio vecchio solo.

               Dice il proverbio: «Come son degli uomini
          i volti vari cosí anco gli animi
          sono». E, benché tutti a un fin tendino,
          non di manco il proceder non è simile.
          Ognun la ’ntende a suo modo e biasima
          l’altro; ed a nessun par in error essere.
          Io son un di que’ che molti dannano,
          dicendo che vie piú che ’l necessario
          mi sto intorno a casa; e mi chiamano
          sospettoso. I’ mi sia; lascia pur essere.
          Gli è meglio esser cosí che a dir s’abbia
          che io sia straccurato di si tenera
          cosa quanto è l’onor: di cui se perdita
          si fa, mai si raquista. Io non ho moglie,
          che si mori, debb’esser giá un dodici
          anni. Ma non è manco d’importanzia
          il guardar una figliuola che truovomi
          in casa, di vent’anni, senza tritolo
          di dota. I’, per me, non posso ma’ chiudere
          occhio. E so quel ch’i’ fo. Infin alle rondine
          vieto l’entrar in casa, che giá lettere
          si truova c’han portate, non ch’a uomini.
          Non creder giá che zanaiuoli o simili
          uomini intorno alla casa m’abbaino.
          No, no: i’ porto da me a me. E similemente
          né velettai né rivendagnole.
          Guarda la gamba! Discosto pur stiano