Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/343

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atto secondo 331

          Cambio.  Il capo? Credolo.
          Mai ci è altro che far che ’l capo.
          Menica.  Domine
          che l’abbia a star anche com’una bestia!
          Cambio.  I’ so quel ch’i’ mi dico e quel che ’mportano
          queste cose. Le case che s’imbiancano
          si voglion o appigionar o vendere.
          Menica.  Oh! Pensa se l’adoperassi liscio!
          Cambio.  Eh? liscio? Che liscio o non liscio? Guardisene:
          che io l’ucciderei colle mie proprie
          mane.
          Menica.  Ognun ha pur consuetudine
          d’acconciarsi.
          Cambio.  La può star anche in cuffia.
          Chi l’ha a vedere? E, piú tosto, attendere
          a lavorar. Bisogna altro che favole
          a regger questa casa!
          Menica.  Uh Signor!
          Cambio.  Massime
          che qui né contadin né altri capita
          che l’empia a tutte l’ore. Dalla piccola
          cosa alla grande mi è necessario
          prò veder.
          Menica.  Di chi colpa?
          Cambio.  Ch’i’ son povero.
          Menica.  Orsú! Che domin fia? Fu anco povero
          messer Domenedio. Pazienzia!
          Cambio.  Ma ti vo’ ben dir questo: s’i’ son povero
          di roba, de l’onor voglio richissimo
          essere.
          Menica.  Fate molto bene.
          Cambio.  Intendimi
          tu?
          Menica.  V v’intendo; ed avete grandissima
          ragione.
          Cambio.  Or i’ vo fuor per tornar subito.