Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/357

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atto secondo 345

          Fazio.  Tu non mi lasci dire. Ascoltami.
          E lascere’lo incorrer nella trappola
          da sé a sé. E poi farei d’essere
          quivi con buona gente, che non possono
          mancarti amici e parenti; e fare’gnene
          sposar per forza; e tutti i danar rendere
          a me. E certo e’ non si può far meglio
          per amenduoi.
          Cambio.  á dirti il vero, io dubito
          che ciò non sia un publicamente mettersi
          le corna ch’or ho ascoste.
          Fazio.  Anzi, è consiglio
          miglior che pigliar possa. Chi riprendere
          ti potrá, se mariti cosí facilemente
          la tua figliuola senza spendere
          un soldo? e da’ la a un che non è ignobile?
          Cambio.  Die ’l sa!
          Fazio.  Come «Die ’l sa»? La casa Spinola
          è oggi delle nobili di Genova.
          Quanti sarien che stimerien grandissima
          ventura questa! Foss’io a tal termine
          che tu! che sto de’ mia danari in dubbio!
          Cambio.  I’ mi voglio attener al tuo consiglio.
          Ma ve’ non mi mancar.
          Fazio.  Mancare? Dubiti
          tu di me? che sai ben quanto m’affliggono
          e’ mia danar perduti.
          Cambio.  Or be’, su! Faccisi.
          Cerchiam d’amici e parenti. E non dicasi
          la cosa a punto, per non esser favola
          d’ognun. Chiamiamgli a un nostro negozio,
          senza dir piú questo che quello.
          Fazio.  Intendesi.
          Cambio.  Orsú! I’ vogli’ andar di queste bazziche
          a scaricarmi e serrar la Lucrezia,
          per ogni buon rispetto, in una camera.