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348 i bernardi

          Bernardo.  Ascolta. Voglioti
          dire ogni cosa. E prima vo’ che sappia
          che Giulio, giá tuo padron, amicissimo
          mi è. Ed a Pisa facemmo amicizia
          quando ciascun di noi vi stette a studio,
          che è giá un tempo; benché di Girolamo
          suo padre non avev’io notizia
          perché mai non lo veddi. E, quando ’l tempo
          fu che gli ebbe bando di Cicilia
          con taglia dietro, al primo volo, a Genova
          se ne venne, a casa mia; e, lasciatimi
          mille scudi che avea, ch’i’ dessi a cambio
          per lui, si diparti; e qui in Italia
          mi disse di voler fermarsi, l’abito
          e ’l nome proprio e ’l casato mutandosi
          acciò non fussi conosciuto.
          Piro.  Piacemi.
          Bernardo.  E cosí fece. Ed hammi scrítto lettere
          pur assai, che l’ho avute tutte, dandomi
          aviso come era qui, benché dettomi
          non ha con chi si stia né come chiamisi:
          onde non gli ho mai potuto riscrivere,
          se non due volte che non so che uomini
          mi mandò a posta; né ancor notizia
          ebbi con chi e’ fussi, né del nome,
          perché di lor non si fidò.
          Piro.  Gli è cauto.
          Bernardo.  Ma io ho atteso, come fedelissimo
          amico suo, a levargli la taglia
          ed a far si ch ’e’ possa nella patria
          sua ritornar e riaver le rendite
          ch’ave’ perdute; ed allora promessoli
          avea venir qui dove trovavasi.
          Ora, per mezzo del principe Doria,
          l’ho ottenuto; ed apresso di me trovomi
          la patente come gli è al tutto libero
          da ogni pena.