Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/385

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atto terzo 373

          Cambio.  Ve’ che non di’ d’essere
          piú lui? Or vanne via, va’, che tu non te le
          se’ sapute.
          Bernardo.  Non fia giá mai possibile
          ch’alcun mi cavi di bocca non essere
          Bernardo; ed, innanzi che me proprio
          negassi, vo’ morire.
          Cambio.  Orsú! Abbiamoti
          inteso. Or va’ di’ a Bernardo Spinola
          che se ne vadi a far il chiasso a Genova,
          non qui a Firenze; che troverrá, credimi,
          culo a suo naso.
          Bernardo.  Udite.
          Cambio.  Non piú. Vattene
          con questo.
          Bernardo.  Piro, costor hanno messomi
          il cervello a partito.
          Piro.  Ed a me il simile.
          Bernardo.  Guarda un po’ dove va.
          Piro.  Si ben. Guardiamolo.
          Cambio.  Io ho fatto male a scoprirmi. La collora,
          in fine, non ha legge. Ogni disegno
          è guasto. Costui gli ridirá subito
          ch’i’ so ogni cosa; e non ara tant’animo
          d’entrarmi in casa. E fia di tutto Fazio
          cagion, che m’ha mancato. Pur, dispongomi
          di farne pruova. Questo non può nuocere.
          Bernardo.  Dov’è egli entrato?
          Piro.  A man manca, al terz’uscio.
          Bernardo.  Gli è molto suo vicin.
          Piro.  Padron, abbiatevi
          cura.
          Bernardo.  Non dubitare. E’ potrebb’essere
          suo parente.
          Piro.  E che si, che fors’escegli
          il ruzzo del capo?