Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/44

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32 l’amor costante

certi altri gentiluomini desiderosi di novitá, e pigliando occasione dalla morte di quel principe, ci facemmo capi in Castiglia d’una congiura. La quale discoprendosi, per mala sorte, innanzi che fusse tanto oltre maturata che noi potessimo valorosamente finir di discoprirla, fummo fatti ribelli della patria nostra con sonaglio gravissimo. E Castiglia è veramente la patria mia.

Maestro Guicciardo. Gran cosa mi dite! Dunque non è Villafranca la patria vostra?

Guglielmo. Il tutto intenderete. Or io, presi quei denari e gioie ch’io mi trovavo, e lassato in custodia d’un messei Consalvo mio fratello tutte quelle facultá che rimanean di mio, e raccomandatoli una figliuola, la quale doveva essere allora di etá d’otto anni, e un mio figliuolo Ioandoro ancora, il quale, d’uno anno innanzi, aveva mandato in corte a Roma, della medesima etá, che ad un corpo eran nati, isconosciutamente mi partii. E, venuto in Italia, mi risolvei di vivermi in Pisa, dove, mutatomi il nome e la patria, ci son stato giá dodici anni, per Guglielmo da Villafranca tenuto e accarezzato; e mi ci ho acquistata, come vedete, la lingua vostra. E Dio ’l sa quanto, in tutto questo tempo, abbia desiderato di saper nuove di casa mia! Né me ne posson venire perché, non mi essendo io fermo in Genova, com’io dissi a mio fratello, per essermi parso luogo di troppa conversazione, non può saper dove io mi sia. Né mai ho avuto ardire di dirne parola con persona del mondo, se non ora con esso voi.

Maestro Guicciardo. E come è il vostro nome?

Guglielmo. Pedrantonio.

Maestro Guicciardo. Pedrantonio, m’accendono i casi vostri di tanta compassione della vostra sconsolata vecchiezza che non sarebbe cosa ch’io non facesse per giovarvi; e pensatevi, non manco ora che prima, poter pigliare sicurtá di quanto ch’io vaglio. Non piangete, ch’io ho speranza che tosto finiranno i vostri mali.

Guglielmo. Or quel ch’io voglio da voi, maestro Guicciardo, è questo: che, come voi sète in Roma, cerchiate di saper nuove del mio dolce figliuolo Ioandoro; e, trovandovelo per sorte,