Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/57

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atto secondo 45

schiavo fiorentino chiamato Nofrio Valori che, tornando da Genova a Firenze per sue faccende, era stato fatto prigione; con il quale feci strettissima amicizia e, per compagnia l’un dell’altro, tollerava ciascuno alquanto piú pazientemente quella servitú. Or cosí schiavi com’hai inteso ci vivemmo parecchi anni per fino alli quindeci di luglio l’anno passato, nel qual giorno fu la presa di Tunis e la divina e gloriosa vittoria del fortunatissimo esercito imperiale e la liberazione, oltre a noi, di piú che ventimila schiavi. El qual giorno arò sempre in memoria.

Corsetto. Quanto mi pento ch’io non mi trovai ancor io a quella impresa!

Ferrante. Certo, Corsetto, che tu hai ragione di pentirtene; che, con gran meraviglia, aresti visto una quiete d’esercito, una contentezza di soldati, una diligenzia di capitani, un’imagine verissima di antica e bene ordinata milizia e, sopra tutto, una divina cortesia e incredibile providenzia e fortuna maravigliosa d’uno imperadore che tu aresti, come tutti gli altri, sperato e tenuto per certo che il medesimo avesse a riuscir di Costantinopoli in brevissimo tempo che gli avenisse di Tunis allora.

Corsetto. Oh Dio! Felici cristiani di questa etá, sotto si potente e santa protezione! Ma seguita de’ casi tuoi.

Ferrante. Come fummo liberi, volse Nofrio Valori menarmi seco a Firenze dove, fra l’altre cortesie che m’usò, mi fece aver luogo, come tu sai, nella guardia. Né mai però, in tanti miei travagli, m’usci dell’animo la mia Ginevra. Qual si sia stata poi fino a oggi la mia vita tu lo sai senza ch’io il dica.

Corsetto. E dove imparasti si bene la lingua italiana?

Ferrante. Io, se ben son castigliano, son nato e allevato in Genova in casa di messer Fabrizio degli Adorni che è gran mercante e strettissimo di mio padre.

Corsetto. Or conosco, Ferrante, la cagione che sempre t’ho visto poco allegro salvo che stamattina. Ma che hanno a far queste cose col tuo star per servo sconosciuto in casa di Guglielmo?

Ferrante. Lassami dire, ch’io non t’ho ancor detto quel che importa piú.