Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/62

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50 l’amor costante


Vergilio. Questo so io che gli è impossibile. Prima vorrá la morte mille volte.

Marchetto. E’ può adunque morirsi a sua posta, per quanto giudico io.

Vergilio. Crederesti, Marchetto, che altra persona fusse per esser miglior mezzo con costei che tu sei stato?

Marchetto. Metteteci mezzo chi voi volete, che il medesimo ne riuscirá; se giá una cosa, a dirti il vero, non vi riuscisse.

Vergilio. Che cosa?

Marchetto. Tel dirò; e, se questo non fa frutto, messer Giannino si può disperar sopra di me. Ma con questo patto: che, giovando, tu mi prometti che messer Giannino mi fará una grazia ch’io gli domandarò.

Vergilio. Se sa/á cosa che si possa fare, ti prometto per lui che la fará.

Marchetto. È forse un mese e mezzo che gli è venuto in casa un altro servitore che si chiama Lorenzino il quale, non so come diavol s’abbi fatto, s’è acquistata tanta grazia col padrone che ogni cosa passa per le sue mani. E Lucrezia ancora mostra volergli assai bene: con la quale ha tanta sicurtá che io gli ho spesso trovati a parlare insieme longamente. Ora vegga messer Giannino di parlargli e di svòllarlo destramente a far questo ufficio.

Vergilio. Se gli è cosi, dubito che cotesto Lorenzino ci ara fatto su disegno per sé; e di qui viene ch’ella ci risponde si bruscamente.

Marchetto. Io non lo credo, ch’ella non era niente piú pietosa innanzi che costui venisse in casa. Pur, avete altro che provare?

Vergilio. Parli benissimo; e non passará d’oggi che si fará qualche cosa.

Marchetto. Or sai quel ch’io voglio da messer Giannino, se questa cosa riesce?

Vergilio. Che?

Marchetto. Che faccia ogni sforzo a levarmi di casa questo Lorenzino o tirandoselo al suo servizio o come meglio li parrá: