Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/61

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atto secondo 49


Marchetto. Non, che non la vidde. Come volevi che la vedesse se, subito che la senti ricordar presente di messer Giannino, si turbò tutta e levommisi dinanzi?

Vergilio. Tu dovevi mostrargliela innanzi perché l’oro è quel che abbaglia gli occhi delle donne.

Marchetto. Non di tutte, che costei tanto lo stima quanto tu fai questo peluzzo.

Vergilio. Non sapesti forse pigliare el tempo commodo perché importa assai con queste donne trovarle in una disposizione o in un’altra.

Marchetto. Fidati di me, che non ci è ordine col fatto suo.

Vergilio. Tien certo, Marchetto, che gli è impossibile che costei non abbi paglia in becco; perché non son tai parti in messer Giannino ch’ella stesse tanto ostinata verso di lui.

Marchetto. Che becco? che paglia?

Vergilio. Tu sei grosso! La conversazion di qualche giovane che gli levi del capo queste fantasie.

Marchetto. Di questo stanne sopra di me, ch’io mi serei pur accorto di qualche cosa, che queste cose non si possan far tanto nette che chi vi sta avertito, come fo io, non s’accorga degli andamenti. E, per quel ch’io ne possa conoscere, non ne veggo se non tutta onestá. Mai parla se non di santi e di leggende.

Vergilio. Oh semplicella! che non considera, la scempia, che quelli anni non son da perdere intorno ai Santarelli. E pur non credo che sia una putta, ormai. Che tempo credi ch’ell’abbia, Marchetto?

Marchetto. Per quanto si vede, credo che passi piú presto venti anni che altrimenti.

Vergilio. Eh! Ciò ch’ella sta molto piú a ravvedersi... Oh quanto son da poche certe donne che non discorron le cose per il verso! Ma in costei dubito d’altro, ch’ella non m’ha cera d’aver si poco giudicio.

Marchetto. O abbi altro o non l’abbi, questo ti so ben dire: che di messer Giannino non vuol sentir niente. E, se facesse a mio modo, ne levarebbe il pensiero.