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56 l’amor costante


SCENA IX

Messer Giannino, Vergilio.

Messer Giannino. E non volse, la crudele, veder la collana né sentir parola de’ casi miei?

Vergilio. V’ho detto. Se Marchetto non dice una cosa per un’altra lui, come la vi senti ricordare, tutta turbata se li levò dinanzi.

Messer Giannino. Ah Fortuna! Quando tu cominci a pigliarti uno in su le corna, quanto lo sai straziare! Misero me! Or che voglio io piú sperare? Ah donne! Quando voi v’accorgete che uno non può piú scappar delle vostre mani, quante berte ne fate! quanto giuoco ve ne pigliate! Eh! Vergilio, fratello, non mi abbandonare.

Vergilio. Padrone, non vi disperate; che mi dice l’animo che questa cosa, che v’ho detto che m’ha consigliata Marchetto di Lorenzino, sia per far qualche giovamento.

Messer Giannino. Aimè! ch’io dubito, Vergilio, di tutto ’l contrario; che cotesto Lorenzino non sia cagione di tutto el mio male.

Vergilio. Perché?

Messer Giannino. Come «perché»? Perché io temo che non si goda Lucrezia lui e di me si ridino insieme.

Vergilio. Ah messer Giannino! Non crederei mai che una gentildonna facesse una simil poltroneria d’impacciarsi con servitori. E tanto piú Lucrezia che mostra nell’aspetto d’esser molto nobile e di grand’animo.

Messer Giannino. Io credo ancor io che se ne trovin rare che lo faccino. Ma dubito che costei, per mia mala sorte, non sia una di quelle; che quella sicurtá che t’ha detto Marchetto aver lei con costui mi fa sospettar non so che. Ma, al corpo di quella sacrata Nostra Donna, che, se io ne posso conoscer niente, s’io ne posso cavare una minima sprizza, ne farò tal vendetta, tal vendetta che sará sempre essempio alle donne di quanta vigliaccaria che facciano a impacciarsi con servitori.