Pagina:AA.VV. - Commedie del Cinquecento, Vol. II, Laterza, 1912.djvu/71

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atto secondo 59

falso e dirmi ch’io li pareva buona robba e quanto tempo aveva che non mi era stato appiccato l’oncino e mill’altre cacabáldole. E io, che mi so’ trovata piú volte con molti che m’hanno fatte le medesime baie e poi non han voluto panni a dosso, gli risposi che, s’io era buona robba, non ero per lui. E, in questo, mi tirò con un braccio nel magazzino e mi messe le mani a dosso, una alle pocce e l’altra al collo; e voleva seguire il resto. Ma, per sorte, senti la moglie che scendeva da basso e subito, racconciatosi dinanzi, mi mandò via. E vi so dire che poco n’è mancato che, per la polvere, non ho avuto olio di ben gioire. Vo’ dire alla padrona che, se vuol piú niente, vi vada lei: s’ella ha voglia di cavarsi qualche fantasia, come accade. Ma ecco Lorenzino di Guglielmo. In buona fé, oh Dio! ha un mese ch’io ho avuto voglia della sua prattica; ma e’ fa tanto del grande ch’egli ha sempre fatto vista di non vedermi. Pur, a questa volta, mi par molto allegro. Chi sa se mi fará forse piú carezze che non suole? Oh! S’io lo potesse svòllare a menarlo un poco nella mia cantina! E sai se verrebbe a tempo: che mi son partita dal profumiere con una voglia di bere, con le teglie riscaldate, che Dio vel dica.

SCENA XI

Ferrante, Agnoletta.

Ferrante. Ogni cosa mi va bene, stamattina. Ho avuto per quattro scudi un giacco finissimo che vai venti.

Agnoletta. Lasciami fare un poco il bello.

Ferrante. Quando una cosa comincia ad andar bene par che tuttavia vada meglio.

Agnoletta. Perché mi miri, Lorenzino?

Ferrante. Chi ti mira?

Agnoletta. Tu.

Ferrante. Tanto avessi tu del fiato quant’io pensava ai casi tuoi.