Pagina:AA. VV. – Fiore di leggende, Cantari antichi, 1914 – BEIC 1818672.djvu/288

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e! qual dalla sua parte ti comando,
e del popol di Roma che m’aspetta,
che d’una, contro a cui mandato hai bando,
piú non t’impacci, eh’è nostra diletta;
conciosiacosach’io ne fare’, quando
facessi contra a ciò, aspra vendetta;
e s’tu andassi ad oste a sua cittade,
non torneresti mai in tuo’ contrade. —
37
E1 re, che vede sua gente smarrita,
perché si parta subito, rispuose,
dicendo: — Va’, ché ’n tempo di mia vita
non m’impaccerò piú di queste cose.
Ma fa’ che tosto sia la tua partita,
ché molte gente fai star paurose. —
Egli rispose: — Innanzi ch’io mi parta,
io ne vorrò miglior pegno che carta. —
38
Veggendo la reina dal balcone
quel dimonio parlar si aspramente,
di botto fu gittata in orazione,
dicendo: — Iddio, come veracemente
liberasti da man di Faraone
quel Moisé col popol tuo servente,
ben ch’io no’ ne sia degna come lui,
libera noi dalle man di costui. —
39
E, detta l’orazion, l’agnol di Dio
gli apparve e disse: — Non aver temenza,
ché ’l venir di costui, ch’è tanto rio,
permesso fue per molta altrui fallenza.
Ma, se tu vuoi vedere il tuo disio,
va’ francamente nella sua presenza,
dicendo: «Verbum ceno factum e 5 te»,
e vederai sue forze manifeste. —