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Non bisognava far questo sermone
al bel Cerbin, però che i messinesi
avevon fatto deliberazione,
della rapina vaghi e bene accesi,
di non fare a Cerbin contradizione.
Risposon tutti che n’eran cortesi;
e, fatto nella fine un gran romore,
sonan le trombe con molto furore.
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E, preso l’arme lor, vogando forte,
detter de’ remi in acqua, ed alla nave
giunson, dove eron l’altre genti accorte,
dove fia la battaglia iniqua e grave.
Gerbillo allor, per far parole corte,
parlò, dicendo a quelle genti brave:
— O voi mi date ’l padron prestamente,
od io farò ciascun di voi dolente! —
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Eran certificati e’ saracini
chi fussin questi e perché tale impresa
avessi fatto Cerbin co’ messini:
onde son tutti armati alla difesa,
e cominciaron con aspri latini
a voler dichiarar questa contesa.
Tutti, pien d’ira e di sdegno e dolore,
chiamon Cerbin villano e traditore,
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dicendo: — Ah, vii poltrone e disleale,
che fai contro alla fede del tuo re
e l’avo tuo, Guglielmo, naturale,
el qual la sicurtá buona ci die’ !
Or tu ci assalti; ma forse tal níale
potrebbe ancor ritornar sopra a te:
ché ben sappiamo a punto il tuo pensiero;
ma verrá invano ogni tuo disidèro. —