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e frati, e essi e non Cristo gli avesse salvati. Da queste varie
sètte sono nate tante discordie, emulazioni, odii, persecuzioni,
infamie e detrazioni, che sono innumerabili.
Ma, se vuoi meglio vedere quali sieno loro voti e religioni,
sappi che — dove la perfetta clausura de’ cristiani è serrarsi con
Cristo nel segreto del core, serrando le fenestre de’ sentimenti
e potenzie umane a tutti li vani e tristi pensieri, desidèri o
consentimenti; imo con lo spirito abitare in cielo, acciocché con
Paulo possiamo dire: «La nostra conversazione è ne’ cieli»,
e li serrarsi per sempre nel divino beneplacito, approbando per
bene e compiacendosi in tutto quello ch’el Signore opera, e
dipoi con la presenzia, mossi sempre dall’onore di Dio, andare e stare dove il Signore l’inspira e chiama per salute del
prossimo (alla perfezione di questa clausura non si può giá aggiognere); — nientedimeno a fantasia si sono immaginati un’altra
clausura d’incarcerarsi, con privarsi di poter fare opere pie,
sebbene fusseno chiamati da Dio, e con la mente poco si curano
d’andare vagando, né possono altrimenti fare, essendo senza
Cristo, il quale solo ci tiene uniti e fermi in Dio.
Similmente la temperanzia di veri religiosi cristiani è sostentare il corpo con quelle forze, che gli sono necessarie per
vivere a onore di Dio e salute del prossimo, in quello stato
nel quale si truovano per volontá di Dio, e cosí mangiare a
quell’ora e quelli cibi, che con mortificarsi e non infermarsi
servono piú a quel fine. L’uomo non può giá immaginarsi
vera temperanzia, piú perfetta della cristiana. Ma nel regno
d’Antecristo ci hanno superstiziosamente aggionto e fatto voto
di non mangiare a talora né il tale e tal cibo, sebbene per
la sanitá gli fusseno convenienti. Imo alcuni si lassaranno prima
morire che rompere il loro impio voto, e dall’altra parte degli
altri cibi ne mangiaranno intemperatamente.
La povertá anco de’ veri cristiani e religiosi è in quello stato,
che Dio gli ha posti, non stare in ozio, ma, potendo, affadicarsi
a gloria di Dio e salute del prossimo, e vivere, potendo, delle
sue fatiche, e non essere grave ad altri, e, se Dio ci dá della
robba, riconoscerla da lui e ringraziarlo, e cosí possederla