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vii - cecco angiolieri 103

LXXX

Di che cosa abbondi e di che cosa difetti il poeta.

Di tutte cose mi sento fornito,
se non d’alquante, ch’i’non metto cura,
come di calzamento e d’armadura:
4di ben vestire i’son tutto pulito;
e co’ danari son si mal nodrito,
piú cli’i’del diavol, di me han paura;
altri diletti, per mala ventura,
8piú ne son fuor, che gennai’ del fiorito.
Ma sapete di ch’i’ ho abbondanza?
Di ma’ desnar con le cene peggiori,
11e male letta per compier la danza.
Gli altri disagi non conto, signori,
che troppo sarebbe lunga la stanza:
14questi so’ nulla, appo gli altri maggiori.

LXXXI

Dei brutti scherzi, che gli gioca la povertá.

La povertá m’ha si disamorato,
che, s’i’scontro mie donn’entro la via,
a pena la conosco, ’n fede mia,
4e ’l nome ho giá quasi dimenticato.
Da l’altra parte m’ha ’l cuor si agghiacciato,
che, se mi fosse fatta villania
dal piú agevol villane!, che sia,
8di me non avrebb’altro, che ’l peccato.
Ancor m’ha fatto vie piú sozzo gioco:
ché tal solev’usar meco a diletto,
11che, s’i’ ’l pur miro, si li paio un foco.
Ond’i’vo’questo motto aver per detto:
che, s’uom dovesse stare com’un cuoco,
14si ’l dovria far per non vivarci bretto.