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Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. I, 1920 – BEIC 1928288.djvu/114

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108 vii - cecco angiolieri

XC

È sempre pieno di tristezza.

Con gran malinconia sempre istò,
si ch’io allegrar niente possomi;
o lasso! per che ciò m’avvien, non so:
4potrestimen’atar, cotal? mi di’!
Deh fallo senza ’ndugio, se puoi mò,
ché’l bisogno mostrar non possoti:
ché mille morti il di, o vie piú, fo;
8però di confortarmi piacciati.
Si ch’io non péra in tale stato qua:
ché uno tu’ consiglio i’ citerò in fé,
11ché lá, ’nd’i’venni, possa reddir lá.
Assa’ di fare ciò prègone te;
ché ’l pensèro si forte giunto nt’ha,
14ch’altro non faccio, se non dire: — Omè! —

XCI

Passa in rassegna tutte le sue disgrazie, dalla nascila in poi

La streinitá mi richèr per figliuolo,
ed i’ l’appello ben per madre mia;
e ’ngenerato fu’ dal fitto duolo,
4e la mia bália fu malinconia,
e le mie fasce si fur d’un lenzuolo,
che volgarment’ha nome ricadia;
da la cima del capo ’nfin al suolo
8cosa non regna ’n me, che bona sia.
Po’, quand’i’fu’cresciuto, mi fu dato
per mia ristorazion moglie, che garre
11da anzi di ’nfin al cielo stellato;
e’l su’garrir paion mille chitarre:
a cu’ la moglie muor, ben è lavato,
14se la ripiglia, piú, che non è ’l farre.