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28 | i - rustico filippi |
LIV
I — MADONNA
Non gli fará molto attendere la gioia.
Oi amoroso e mio fedele amante,
amato piú di nuli’altro amadore,
se tu ti dòli, i’ aggio pene tante,
4ch’ardo tutta ed incendo per amore.
E, se lo core meo fosse diamante,
non doveria aver forza né valore;
e, se di doglia in céra fai sembiante,
8eo sono eo quella, che la porto in core.
Amore meo, cui piú coralmente amo,
ch’amasse giá mai donna suo servente
11e che non fece Tisbia Pirámo,
l’attender non ti sia disavvenente,
chéd io tanto del cor disio e bramo,
14che picciol tempo, amor, sera’ attendente.
LV
2 — POETA
È pronto a sopportare dolori senza farne mostramento.
Graza e merzé, madonna, a voi mi rendo,
ché io per neiente non son degno;
l’amoroso consiglio vostro prendo,
4isperando venir nel vostro regno.
E, s’io aggio fallato, al vostro ammendo
son di voi, donna, mio core e sostegno;
e, s’io lamento e doglio e non attendo,
8ormai di piú doler muto divegno.
La vostra doglia sia la doglia mia,
e la mia doglia metto’n ubrianza;
11piú pene sofferrò, ch’io non soffria.
Ma non, mia donna, che paia sembianza:
gentile ed amorosa piú, che sia,
14a voi rendo merzé d’esta inoranza.