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iv - tenzoni politiche fiorentine 41
Monte.   Giá de l’agnello non si teme morso,

10ché suo morder neiente giá non sagna.
Schiatta. E’ parrá peggio, che leone od orso,
cui morderá, ché giá mai non ristagna.
Monte.   Se pur convèn Carlo pilucchi il torso,
udransi i guai piú lá, che ’n Ispagna!
Schiatta. 15Certo a lo ’mpero gli parrá un sorso
a conquider chi fior di lui si lagna!
Monte.   Gente folle, di cui fate tal festa!
Or non sapete come Carlo paga
in un punto chi gli è incontro o rintoppa?
Schiatta.   20Amico, ora ti lega al dito questa:
la nostra gente è di combatter vaga,
sì che de’ tuoi avranno sol la groppa.
Monte.   Mi par mill’anni pur che siáno al campo:
ché bene avrete, ghebellin, tal scoppio,
25giá mai d’alcun non si rannodrá pezzo.
Schiatta.   Son certo ch’or fia tutto il nostro scampo;
di cui avem danno, fia pagato a doppio:
ch’avem segnor, ca Carlo mutrá vezzo.

3-4

Continua il dibattito sul medesimo tema.

Monte.   Non vai savere a cui fortuna ha scorso,

coni’ vien per forza in suo cor doglia magna.
Schiatta. S’ha avuto contro a noi largo suo corso,
ventura encontra or tutta par l’affragna.
Monte.   5E chi m’ha dato pena, (ermo or so
che tosto fia di lui morte compagna.
Schiatta. Sanza consiglio fia chi col suo forso
conlasterá, tal piè mess’ha in campagna!
Monte.   Quel, che fue detto agnel, ch’inavra morso,
10in ogne parte pena il fer’e sagna.
Schiatta. Per che vedemo ch’elli ha messo ad orso,
contro a ogn’altro fia sua potenza stagna.