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vii - cecco angiolieri | 65 |
IV
Pei la crudeltá della sua donna, maledice il momento che se n’innamorò.
Maladetto e distrutto sia da Dio
lo primo punto, ch’io innamorai
di quella, che dilettasi di guai
4darmi, ed ogn’altro sollazzo ha in oblio;
e si fa tanto tormento esser mio,
che ’n corpo d’uom non ne fu tanto mai:
e non le pare aver fatto anco assai,
8tant’è ’l su’ cor giude’, pessimo e rio.
E non pensa se non com’ella possa
far a me cosa, che mi scoppi’l cuore:
11di questa oppinion ma’ non fu mossa.
E di lei non mi posso gittar fuore,
tant’ho la ment’abbarbagliat’e grossa,
14c’ho men sentor, che non ha l’uom, che mòre.
V
Che differenza passi tra lui e quella crudele di Becchina.
I’ ho si poco di grazia ’n Becchina,
in fé di Di’, ch’anche non tèn a frodo,
che in le’ non posso trovar via né modo,
4né medico mi vai né medicina;
ch’ella m’è peggio, ch’una saracina,
o che non fu a’ pargoli il re Rodo;
ma certo tanto di le’ me ne lodo,
8ch’esser con meco non vorrie reina.
Ecco’l bell’erro, c’ha da me a lei:
ch’i’non cherre’a Di’altro paradiso,
11che di basciar la terr’, u’pon li piei;
ed i’ fossi sicur d’un fiordaliso,
ch’ella dicesse: — Con verta ’l ti diei! —
14E no, ch’i’fosse dal mondo diviso!