Mirava il collo e riguardava attento
Gli ornamenti, che d’oro ognuna avea:
Fin del calcagno, e de le piante loro
Le figure osservò. Quindi Minerva
Preso per man, pria che ’l giudizio desse,
Il giojoso Alessandro, a lui diceva.
Vien quà, figliuol di Priamo, lasciando
La Consorte di Giove e non curata
Venere, che de’ talami è regina,
Loda Minerva, che ha in poter la forza,
Sento, che impero hai tu che tu difendi
La Trojana Città: vien quà, sarotti
Io de gli uomini afflitti Protettore;
Perchè Bellona in avvenir non mai
Grave di sdegno amareggiar ti possa.
Ubbidiscimi dunque, e ad esser forte
Insegnerotti, e de la guerra l’arte.
Sì favellò la saggia Dea d’Atene
Nè avea finito ancor, quando a lui disse
Così Giunone da le bianche braccia.
Se me più bella giudicando, il frutto
Tu mi vuoi dare io ti farò di tutta
L’Asia nostra Signore: Ah non far conto
De le belliche cose. A che mai queste
Giovano ad un, ch’è di Città Rettore?
Un, ch’è Signor, comanda ai forti, e ai vili:
E non sempre fan poi leggiadre imprese
Di Minerva i seguaci; anzi più presto
Muojon color, che servono a Bellona.
Tal Signoria Giunon gli offerse, quella
Che ha ’l primo Trono. Ma la Dea Ciprigna