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g. f. maia materdona 109

VIII

IL PRIMO DI MAGGIO

     Ecco l’alba, ecco l’alba, ecco il bel giorno
che riconduce al nostro mondo il maggio;
salutatel, pastor, dateli omaggio,
or ch’ei fa dolcemente a voi ritorno.
     Di verde smalto a coronarlo intorno,
pria che ’l coroni il Sol di biondo raggio,
altri al colle ed al prato i fiori, al faggio
altri involi le frondi ed altri a l’orno.
     Su, su, gite, pastor; per l’odorate
erbe movete a vaghi balli il piede
e ’l cantar degli augelli accompagnate.
     Io non verrò, poi che per me non riede
il maggio: nel mio cor sempre la state,
sempre ne le mie luci il verno ha sede.

IX

L’ESEMPIO

     Tisbe, il so, nol celar; non è difetto
ch’abbi a celar, ch’opra è d’amore al fine:
ier, su l’ore piú fresche e mattutine,
t’abbracciò Coridon dentro un boschetto.
     Fa’ ch’io t’abbracci ancor, ché ti prometto
tre canestri, un di gelse, un di susine
ed un altro o di fraghe o d’armelline,
e, s’al padre l’involo, anco un capretto.
     Diman, cor mio, ne la medesim’ora
torna al boschetto istesso; ivi m’attendi,
ch’a quel luogo, in quel tempo, i’ verrò ancora.
     Taciturna pian pian per l’orto scendi,
che non t’oda o ti veggia altri uscir fuora,
e lá m’aspetta, o lá t’aspetto: intendi?