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paolo zazzaroni 325

VI

IL GIORNO DELLE PALME

     In sacro tempio, ove divota schiera
seguia di Cristo i trïonfanti onori,
con verde ulivo in man vidi mia Clori
al volto, ai gesti umilemente altera.
     — Oh! — dissi alor — ha pur la mia guerriera
dal cor diposto i suoi natii furori,
mentre con nova insegna a’ miei dolori
pace e speme promette ond’io non pèra.
     Con simil ramo ancor, doppo che ’l fio
pagò sommerso il mondo in mar vorace,
segno di tregua ebbe Noè da Dio.
     Ma sí cruda quest’empia ognor mi sface,
ché porta quelle frondi a creder mio
sol per trïonfo suo, non per mia pace. —

VII

LA SIGNORA E L’ANCELLA

     Per doppio incendio mio m’offre fortuna,
entro un albergo sol, serva e signora
d’egual beltá; se non ch’a questa indora
natura il capo e a quella il crin imbruna.
     L’una rassembra il Sol, l’altra la luna,
o questa l’alba appar, quella l’aurora;
arde l’una per me, l’altra m’adora,
e d’ambo io sento al cor fiamma importuna.
     Misero, che farò? dovrò fors’io
sprezzar l’ancella? a la bramata sorte
chi scorta mi fia poi de l’idol mio?
     Ah, ch’ambe io seguirò costante e forte;
e se ’l destino arride al bel desio,
o l’una amica o l’altra avrò consorte.