Pagina:Abba - Le rive della Bormida.djvu/193

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portichetto, donde si godeva la bella vista dei pergolati, alcuni laici sedevano sulla cassapanca colle mani in mano; di certo chiacchierando di pace e di guerra, che tale era di quei giorni l’oggetto d’ogni discorso. All’apparire di lei, forse si misero a parlare della sua bellezza, e ci avranno avuto il garbo, che avrebbe a suonar la cetra quell’animale, di cui ricorre il nome quando tra uomini si vuol dirsi ingiuria.

Come la giovinetta fu vicina a costoro, dimandolli del padre Anacleto, dove lo si potesse vedere; ed uno, il quale alla colatura di cera che aveva sulle maniche del saio pareva il sagrestano, pose lei e la cascinaia su di una viuzza che menava a trovarlo.

Bianca ringraziò appena, e si mise a camminare frettolosa, lasciando quei laici addietro a fare le congetture.

Proprio bell’e in mezzo al bosco, vi era uno spianato erboso, sopra il quale i rami delle querce più antiche, erano infittiti per modo che non vi poteva raggio di sole. Sorgeva a quell’ombra una cappella modesta, quella se ci rammenta, a cui damigella Maria aveva fatto voto di venire di notte per ringraziarvi San Francesco, della pace ricondottale in casa dal padre Anacleto. Il Santo era dipinto sul muro di quella cappella, a mani giunte dinanzi a un crocifisso, con a piè della croce un teschio e un libro, i cui fogli parevano assai bene agitati dal vento. Due lagrime gli colavano per la guancia scarna, e le stigmate apparivano infiammate e sanguinose. La dipintura si vede ancora ai nostri dì, e durerebbe intatta, se molte scalcinature non mostrassero che vi furono tratte schiopettate, a prova o a disprezzo. Quelle palle le tirarono i Francesi nel 1794, nè so come non sia stato detto che il piombo rimbalzando uccise i profanatori. Nella vallata lo si avrebbe creduto; e sarebbe rimasta fama di malurioso al luogo assai bello. Il quale in un col convento minato, attende qualcuno che del mondo n’abbia assai; e venga a farne la sede di piaceri tran-